A seguito della Seconda Guerra mondiale l’Europa sembra essere scomparsa dalla scena internazionale, sbiadita tra i continenti. Dapprima per motivazioni concrete, la difficile situazione economica e sociale, la distruzione, le macerie, i milioni di morti. Poi per qualcos’altro: un elemento che secondo molti avrebbe rappresentato il problema più grande, lo stesso che altri sottovalutarono ma che ha caratterizzato negli anni lo stato che ci accompagna oggi. Non c’è cosa più triste, per un europeo che sentirsi continuamente oggetto di decisioni prese da chi europeo non è, che sia americano, russo o cinese. Quello che sta accadendo oggi ne è la dimostrazione più chiara. Una guerra sanguinosa combattuta sul continente europeo viene discussa e negoziata a tavolino da altri, senza neanche la cortesia di includere gli europei come semplici osservatori. Resta quindi fondamentale chiederci come si sia arrivati a questo punto e in che modo tutto ciò possa essere compreso alla luce di ciò che l’Europa è stata, di ciò che aspira ad essere, in un contesto mondiale in costante mutamento.
L’eredità del dubbio: l’Europa alla ricerca di orientamento
La storia del nostro continente ci ha dimostrato di come, spesso siano state le esigenze pratiche, l’innovazione e la sete di scoperta a fare da catalizzatori per processi di integrazione cominciati ben prima del ventesimo secolo. L’Europa si è definita, prima di tutto, in contrasto con tutto ciò che Europa non era, in una dialettica profonda che ha alimentato nel tempo l’idea di un’Europa politica. Tuttavia, non siamo ancora arrivati a quell’unico assetto che le permetterebbe di non perdere la rilevanza che ha avuto nella sua lunga storia. Che le dinamiche di potere a livello internazionale cerchino di ostacolare questo esito? Un’Europa unita e forte potrebbe ridimensionare il peso di chi oggi trae vantaggio dalla sua frammentazione. Non molto tempo fa, quando il potere mondiale era in gran parte in mano agli europei, gli abitanti del vecchio continente iniziarono a proiettarsi al di fuori dei propri confini in una corsa senza precedenti per colmare quegli spazi delle mappe che ancora rimanevano inesplorati. Non avevano inizialmente un vantaggio tecnologico su potenze consolidate come la Cina o la Persia, eppure furono loro a plasmare un ordine mondiale e un modello culturale destinati a segnare il corso della storia. Gli Europei iniziarono a guardare al di fuori di sé stessi in un modo del tutto particolare. A partire dal XV secolo, in Europa si iniziarono a produrre mappe che non rappresentavano più gli spazi sconosciuti come infestati da bizzarri mostri leggendari, ma con ampi spazi bianchi: un segno di consapevolezza e desiderio di scoperta. Un quarto delle terre emerse porta oggi il nome di un italiano, ai sui tempi quasi sconosciuto, che ebbe però il coraggio di mettere in discussione sé stesso ed un’idea consolidata. Ma è proprio questo lo spirito europeo di cui abbiamo urgente bisogno: la capacità di rimettersi in discussione in un mondo in continuo mutamento. Oggi in ogni angolo del pianeta le persone sono più europee di quanto vogliano ammettere: nelle idee, nei gusti e perfino nel vestiario [1]. Anche chi si dice antioccidentale, guarda spesso a politica, medicina, guerra ed economia attraverso quelle lenti modellate in gran parte dalla cultura europea. Ma come è possibile che anche avendo apportato così tanto l’Europa non riesca a trovare sé stessa? Forse perché il dono di gran lunga più grande che la storia Europea ci ha lasciato in eredità è proprio il dubbio. Ma il rischio, oggi, è che questo moto continuo di auto superamento non sia più il cammino verso qualcosa, ma piuttosto una perdita di orientamento. Viviamo in un tempo complesso, sfaccettato e segnato dall’incertezza. Un esito forse inevitabile, in un mondo in cui chi un tempo metteva ordine si è inesorabilmente ritirato in sé stesso e perfino lì riscontra sempre più difficoltà. Ma come ci si confronta con un mondo in continuo mutamento se non si è più alle redini di questa trasformazione? Da uno dei motori della storia forse l’Europa deve oggi accontentarsi di essere una delle tante ruote che girano e in questo ritrovare la sua forza e profonda dignità. Il sistema internazionale attraversa oggi profonde trasformazioni, sullo sfondo di un processo che molti definiscono multipolarizzazione. Al termine della Guerra Fredda, si è infatti passati dal bipolarismo a quello che molti hanno definito sistema unipolare guidato dagli Stati Uniti. Questo nuovo stadio ha mostrato fin da subito limiti e contraddizioni, ma ha comunque favorito, nei primi anni Duemila, un livello di cooperazione internazionale quasi senza precedenti. La Federazione Russa, fortemente provata dalla spaventosa crisi degli anni 90’ non sembrava più rappresentare una minaccia per gli equilibri europei, né tantomeno per quelli extracontinentali. Forse perché in quel momento non ne aveva la forza, forse per via di un sincero tentativo di dialogo con un fronte occidentale spesso un po’ troppo pretenzioso. Nel frattempo, nel 2001 la Cina faceva il suo ingresso nella Organizzazione Mondiale del Commercio con gli Stati Uniti che si convincevano di aver portato il gigante asiatico dalla loro parte nello sviluppo di un ordine internazionale basato su quei valori che hanno da sempre sostenuto. Le premesse erano buone ma qualcosa è cambiato, il vecchio ordine sembra oggi morire ed il mostro di un Europa sperduta nel mezzo è ormai l’incubo di molti sulle sponde orientali dell’atlantico. Nel frattempo, nuovi attori acquisiscono sempre più rilevanza nei propri contesti e al di fuori, portandoci a nuovi quesiti che meritano considerazione.
Un nuovo equilibrio? I BRICS e un ordine internazionale che cambia
Come in altri momenti di transizione storica, sembra stia gradualmente venendo meno quel potere egemone di cui parlava Robert Gilpin, capace di garantire un equilibrio globale relativamente stabile [2]. Questo ruolo è stato ricoperto negli ultimi decenni proprio dagli Stati Uniti. Il potere scivola e ogni attore internazionale acquisisce sempre più peso nella propria area di influenza e, talvolta anche oltre. In particolare, sono i BRICS, da sempre critici nei confronti dell’unipolarismo a guida statunitense, che insistono sulla necessità di una transizione verso un assetto di tipo multipolare. Non a caso, il gruppo nato all’indomani della crisi finanziaria del 2008 discute attivamente misure per ridurre la dipendenza dal dollaro e da sistemi di pagamento come lo SWIFT [3]. Già nel 2018, il PIL complessivo dei BRICS ha superato quello del G7, che cresce peraltro ad un ritmo molto più lento. Sembra proprio che la direzione intrapresa sia quella verso un ordine mondiale rinnovato, forse più adeguato alle dinamiche attuali che lo scenario internazionale presenta, ma quasi certamente più instabile e complesso. Già nel 1997, diversi anni prima della nascita dei BRICS, una dichiarazione congiunta all’ONU tra Russia e Cina [4] esprimeva la volontà dei due paesi di impegnarsi per favorire la nascita di un ordine mondiale di tipo multipolare come garanzia di pace e giustizia. Dal punto di vista di Pechino e Mosca i BRICS, nonostante alcune conflittualità interne e il coordinamento non istituzionalizzato che li caratterizza, rappresentano un importante strumento per essere tra gli attori che stanno orchestrando questo processo trasformativo. La dichiarazione del 1997 getta così le basi per un processo che porterà alla nascita del gruppo e la popolarità che ha ottenuto negli ultimi anni anche in contesti del tutto particolari. In effetti, la ragione per cui molti paesi in via di sviluppo guardano di buon’occhio ai BRICS è anche motivata dal risentimento diffuso verso i paesi e le istituzioni occidentali, elemento che ha portato negli ultimi anni ad alcuni allargamenti e alla crescita dell’influenza del blocco in molte aree del mondo. Nonostante ciò, sempre più interlocutori sollevano dubbi sulla reale dinamica nei rapporti interni ai BRICS, in cui le grandi potenze come la Cina potrebbero estendere la propria influenza, soprattutto dal punto di vista economico e quindi allontanare quel sogno di un mondo più eguale, in cui tutti hanno la stessa voce e lo stesso peso, tornando sempre alla vecchia storia. Ma i BRICS non si sono mai proposti come un’alternativa avversa al sistema multilaterale nato dopo la Seconda Guerra mondiale. Piuttosto hanno sempre cercato di rinnovarlo, adattandolo ai nostri giorni. Un “multilateralismo 2.0” che appare sempre più difficile da ignorare e che, nonostante le resistenze di alcuni attori, sembra destinato a diventare patente. Dopotutto il mondo è cambiato in modo così evidente, troppo perché un processo simile possa essere rimandato a lungo. Il motto dell’ultimo summit BRICS tenutosi a Kazan è stato proprio “Rafforzare il multilateralismo per un giusto sviluppo e sicurezza globali” promuovendo tutti gli aspetti del partenariato BRICS in aree chiave: politica e sicurezza, economia e finanza, contatti culturali e umanitari [5].
Certo, non mancano situazioni in cui i membri dei BRICS cercano di sfruttare le proprie posizioni in linea con i loro interessi specifici, come nel caso della Russia, che secondo molti analisti avrebbe utilizzato la sua presidenza annuale e il Summit BRICS di Kazan per dimostrare alla comunità internazionale che il paese non è isolato, nonostante le sanzioni. Ma sembra che l’integrazione BRICS abbia portato anche a risultati positivi, come l’apparente allentamento delle tensioni tra India e Cina riguardo la disputa territoriale di confine nel Ladakh che nel 2020 aveva raggiunto un livello particolarmente critico. Un’intesa sui confini è stata raggiunta a pochi giorni dal vertice di Kazan, a dimostrazione della volontà dei due paesi di procedere sulla strada della cooperazione, nonostante le posizioni di India e Cina siano ancora caratterizzate da diverse fratture. Il bilaterale al vertice di Kazan tra i presidenti Modi e Xi Jinping sembra aver portato un progressivo disgelo tra il primo e secondo paese più popoloso al mondo. Citando le parole del presidente cinese, l’auspicio è quello di “collaborare per rafforzarsi e promuovere la multipolarità mondiale e la democratizzazione delle relazioni internazionali”. Permangono tuttavia alcune tensioni interne al gruppo: alcune sono state superate, altre restano irrisolte. Ma è innegabile che in questa direzione siano stati compiuti passi significativi, soprattutto attraverso quel dialogo che funziona soprattutto quando è accompagnato anche da concreti e tangibili benefici reciproci. L’approccio dei BRICS è sempre stato fondato sulla cooperazione economica e di sviluppo, ma anche su scambi culturali, artistici e sportivi, evitando però di interferire nelle scelte politiche e ideologiche dei singoli membri, anche proprio per non ostacolare il dialogo.
La voce che manca: il ruolo incompiuto dell’Europa nel mondo multipolare
In questo processo trasformativo in cui gli USA da egemone diventano uno dei poli e i più grandi paesi BRICS gli altri, l’Europa sembra mancare all’appello. Negli anni della guerra fredda sembra che l’Europa sia stata inghiottita dal blocco occidentale guidato da Washington. Ci si augurava che, dopo tanti anni dalla devastazione della Seconda Guerra mondiale il vecchio continente avrebbe trovato la sua strada autonoma. Ma sfortunatamente non è andata così. Oggi l’Europa è molte cose: ha un potenziale economico importante, è motore di progresso e innovazione in tanti ambiti. Tuttavia, non c’è dubbio che all’Europa manchi una cosa essenziale: una voce. Senza questo elemento fondamentale, non potrà mai essere uno di quei poli di questo nuovo ordine, né difendere i propri interessi nemmeno nelle aree dove la sua influenza risulterebbe più ovvia. Il silenzio europeo rappresenterebbe poi un vuoto pericoloso nello stesso sistema multipolare, vista la posizione geografica del vecchio continente che gli permetterebbe di avere un ruolo di equilibratore [6] nelle dinamiche che si instaurerebbero tra i vari centri di potere. Ma se per anni l’Europa ha potuto vivere sotto l’ombrello protettivo di Washington, ancora una volta, forse per necessità, oggi dovrà adattarsi ad un mondo che cambia. Dal fallimento della Comunità Europea di Difesa nel 1954, il continente ha fatto costantemente affidamento sulla NATO per garantire la propria sicurezza. Nel corso degli anni, non sono mancate iniziative volte a rafforzare il coordinamento in ambito di politica estera, ma nessuna è mai riuscita a produrre un processo decisionale collettivo rapido ed efficace su questioni strategiche e di sicurezza. Questo aspetto di fragilità rischia di condannare l’Europa a restare sempre un passo indietro, soprattutto in un contesto internazionale sempre più frammentato e caratterizzato da una pluralità di posizioni divergenti. Forse è giunto il momento di attingere a una dose di quel pragmatismo, tanto caro ai BRICS, senza però rinunciare ai valori che hanno sorretto l’edificio europeo fin dalla sua nascita. Per poter davvero perseguire i propri interessi, l’Europa ha bisogno di iniziare a osservare il mondo per come è, non per come vorrebbe che fosse. Solo così potrà evitare di diventare, per usare le parole dell’ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine, lo “sciocco del villaggio globale” [7].
Non va dimenticato inoltre, che la rilevanza crescente dei paesi BRICS si estende anche al commercio internazionale. Le economie del gruppo sono in forte espansione e la maggior parte dei cosiddetti choke points – quei passaggi marittimi obbligati in cui transita larga parte del commercio mondiale – si trova sotto l’influenza di uno o più membri BRICS. Eppure, dove decide di guardare l’Europa? Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un ulteriore ripiegamento sulla strategia nordatlantica, anche sul piano economico e commerciale. Una scelta che, seppure porti ad alcuni benefici, sembra ignorare le opportunità che potrebbero emergere altrove. Ciò potrebbe impedire all’Europa di ripensare il proprio impianto economico e tenerlo al passo con le nuove dinamiche globali. C’è chi auspica un maggiore dialogo con i BRICS, cosa fortemente osteggiata dall’Unione Europea negli ultimi anni, nonostante qualcosa sembra stia cambiando. Ma anche oggi aprirsi ai BRICS, quantomeno sul piano commerciale, appare difficile per un’Europa immobilizzata e priva di una voce autonoma che le renderebbe possibile discostarsi dalle linee americane. Senza quella voce il vecchio continente non riuscirà mai a guardare al futuro e vivrà in un presente sempre più complicato. Certo, la strada in questa direzione è tutt’altro che semplice. Ma alcune proposte concrete sono già state avanzate: rafforzare l’autonomia strategica per non dipendere eccessivamente da enti esterni, superare il principio dell’unanimità nelle decisioni di politica estera e sicurezza adottando il voto a maggioranza qualificata, ma anche potenziare la legittimazione democratica delle istituzioni europee, ad esempio attraverso l’elezione diretta dei vertici. Un passo, quest’ultimo che potrebbe ridurre quella distanza percepita tra i cittadini e l’Unione, che troppo spesso appare come un costrutto tecnico, lontano e inaccessibile, e quindi percepita come inadeguata ad assumersi la responsabilità di scelte cruciali per il suo futuro.
Come abbiamo detto, un polo europeo forte e autonomo non rappresenterebbe solo un vantaggio per gli europei nel perseguire i propri interessi e mantenere la propria rilevanza sullo scacchiere globale, ma contribuirebbe anche a un ordine internazionale più stabile e meno conflittuale. Un’Europa capace di esprimersi autonomamente in tutti gli ambiti offrirebbe un’immagine di un Occidente più plurale e articolata, lontana dall’essere percepita come una semplice area di influenza statunitense. Per affrontare con lucidità le trasformazioni in atto l’Europa è oggi chiamata a un confronto profondo con sé stessa e con le contraddizioni che da sempre la attraversano. La posta in gioco è alta più che mai: la capacità dell’Europa di continuare ad essere un attore globale di primo piano e non un osservatore relegato ai margini del mondo multipolare.
[1] Yuval Noah Harari, Sapiens: Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Trad. Silvia Dennerlein, Bompiani, 2017.
[2] Robert Gilpin, War and Change in World Politics, Cambridge: Cambridge University Press, 1981
[3] Milano Finanza (2024). “Perché i BRICS vogliono una moneta di riserva internazionale.” https://www.milanofinanza.it/news/perche-i-brics-vogliono-una-moneta-di-riserva-internazionale-202410260009057289
[4] Dichiarazione congiunta russo-cinese su un mondo multipolare e sull’istituzione di un nuovo ordine internazionale, Lettera alla Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 15 maggio 1997. https://digitallibrary.un.org/record/234074?v=pdf
[5] EURISPES – Laboratorio sui BRICS, Principali Documenti relativi al periodo Gennaio-Agosto 2024, Roma, Agosto 2024
[6] Benjamin Martill, Lisa ten Brinke. Europe in a Multipolar World, LSE IDEAS Strategic Update, 9 June 2020
[7] Audizione di Hubert Védrine davanti alla Commissione sul Libro bianco sulla difesa e la sicurezza nazionale, 4 ottobre 2007.