La Cina accelera, l’UE rincorre: si allarga il divario digitale. Il futuro dell’intelligenza artificiale europea a che punto è?

La spinta dell’Unione Europea verso il raggiungimento di una propria sovranità tecnologica, accelerata, tra l’altro, dalla pandemia da COVID-19, ha dato un forte slancio alla modernizzazione dell’economia europea. Questa accelerazione ha offerto nuove possibilità all’Europa, aprendole la strada non solo per rivedere le sue priorità politico-economiche e i suoi strumenti, ma anche per affermarsi come un modello di riferimento globale per l’adozione consapevole della tecnologia basata sul rispetto dei valori democratici.[1] Tuttavia, tale ambizione si scontra con seri ostacoli, come la forte dipendenza da filiere tecnologiche extra-europee e un livello di investimenti ancora insufficiente a sostenere una solida politica industriale nel settore, che sia in grado di competere con altri attori globali.[2]

In particolare, per colmare il gap digitale con Stati Uniti e Cina, l’Unione Europea ha messo in atto una strategia ambiziosa: promuovere e facilitare la libera circolazione dei dati tra i Paesi membri dell’UE.[3] Tale obiettivo è perseguito garantendo il pieno rispetto delle normative europee, in particolare in materia di protezione dati, sicurezza informatica e concorrenza hi-tech, assicurando al contempo che i criteri per l’accesso e l’utilizzo dei dati siano oggettivi e trasparenti.[4] In più, la Comunicazione che fa da riferimento, pubblicata nel 2020 e intitolata Shaping Europe’s digital future, aveva toccato anche un tema caldo come quello dell’appello alla riduzione del cosiddetto Digital Skills Gap. Nel documento si legge infatti: “Il miglioramento dell’istruzione e delle competenze è una componente fondamentale della visione globale della trasformazione digitale in Europa. Le imprese europee hanno bisogno di impiegati digitalmente competenti per poter prosperare nel mercato globale basato sulla tecnologia. A loro volta i lavoratori hanno bisogno di competenze digitali per riuscire in un mercato del lavoro sempre più digitalizzato e in rapida evoluzione. Un maggior numero di donne possono e devono avere una carriera gratificante nel settore della tecnologia, e il settore tecnologico europeo ha bisogno delle loro abilità e competenze”.[5] Non solo: sempre al suo interno, il testo, richiama l’attenzione sull’impatto ambientale dell’uso di queste tecnologie. Si legge: “In quanto potenti strumenti per la transizione alla sostenibilità, le soluzioni digitali possono favorire l’economia circolare, sostenere la decarbonizzazione di tutti i settori e ridurre l’impronta ambientale e sociale dei prodotti immessi sul mercato dell’UE. Ad esempio, settori chiave come l’agricoltura di precisione, i trasporti e l’energia possono trarre enormi benefici dalle soluzioni digitali per conseguire gli ambiziosi obiettivi di sostenibilità del Green Deal europeo”.[6]

Tuttavia, è stato evidenziato che i risultati potranno essere misurati solo nel medio-lungo termine. Non solo: la volontà di plasmare un’Europa digitale si fa strada in uno scenario internazionale privo di una regolamentazione condivisa in materia di dati. Quello che prevale è piuttosto una competizione accesa tra le principali potenze globali: ogni attore cerca infatti di consolidare la propria autonomia e influenza strategica, così alimentando frizioni sempre più evidenti. Questi contrasti sembrerebbero il riflesso di una più ampia e profonda trasformazione degli equilibri geopolitici, evidenziata soprattutto dall’intensificarsi della rivalità tra Stati Uniti e Cina.[7]

Proprio per competere con Washington e Pechino, Bruxelles si sta attivando per non restare indietro nella corsa globale all’intelligenza artificiale. Finora, però, quest’ultima ha rappresentato un ambito in cui l’Unione ha sempre privilegiato la regolamentazione allo sviluppo tecnologico: è infatti assente nella top ten mondiale per capitalizzazione nel campo dell’IA.

In quest’ottica, con l’obiettivo di gettare le basi per una posizione di leadership a livello globale, lo scorso 9 aprile la Commissione europea ha presentato l’AI Continent Action Plan: un piano d’azione che mostra come l’UE sia impegnata e determinata a diventare a diventare un leader mondiale in fatto di tecnologie intelligenti.[8] In particolar modo, per riuscirci, l’Europa dovrà mantenere un approccio distintivo all’intelligenza artificiale, valorizzando i propri punti di forza e ciò che sa fare meglio. E, questo include: sfruttare il grande mercato comune e le regole condivise così da garantire sicurezza e rispetto dei valori europei, sostenere la ricerca e i tanti esperti presenti in Europa, incoraggiare l’innovazione, e costruire una solida base tecnologica con un accesso ai dati per tutti.[9] “Vogliamo che l’Europa sia uno dei continenti leader nell’intelligenza artificiale”, ha detto von der Leyen.[10]

Intanto però, le politiche tecnologiche del governo cinese, come i programmi Made in China 2025 e Digital Silk Road[11] o DSR (Via della Seta digitale), evidenziano chiaramente l’ambizione di Pechino di costruire un altrettanto solido primato tecnologico. Ovviamente, questi piani strategici non puntano solo all’autosufficienza digitale, ma mirano anche a rafforzare l’influenza della Cina nel panorama internazionale, estendendo il suo impatto attraverso reti digitali che toccano molteplici paesi.

In particolare, proprio il secondo programma si concentra su investimenti e infrastrutture digitali. E, sebbene nei documenti ufficiali i suoi obiettivi risultino piuttosto vaghi, la strategia che propone è considerata dai media internazionali come un tentativo della Cina di diffondere le proprie tecnologie e standard per l’ecosistema digitale, specie nei Paesi in via di sviluppo.[12] Infatti, l’Europa, pur avendo superato la Cina, a partire dal 2010, per numero d’imprese innovative in settori come quello dell’energia pulita e delle biotecnologie, si confronta con un quadro ben diverso nel campo del digitale e dell’elettronica: la Cina mantiene infatti un vantaggio netto in aree strategiche come l’IA e la deep tech. Questo divario evidenzia la necessità per l’Unione di adottare strategie più incisive per stimolare l’innovazione in questi ambiti cruciali, al fine di restare competitiva nella corsa globale alla leadership tecnologica.[13]

Va però specificato che le informazioni concrete sulla Digital Silk Road sono piuttosto limitate. Anche l’entità degli investimenti coinvolti rimane poco trasparente: secondo un articolo pubblicato da Bloomberg nel 2019 — ampiamente ripreso da altri media — la cifra complessiva ammonterebbe a 79 miliardi di dollari. Ciononostante, il dato non è supportato da fonti chiare e comprende finanziamenti destinati a progetti avviati prima del lancio ufficiale della DSR, oltre che a Paesi che non aderiscono né alla DSR né alla BRI, e in alcuni casi ne sono persino apertamente contrari, come l’India. Non solo: va aggiunto anche che non esistono né una definizione condivisa né un elenco ufficiale dei progetti riconducibili alla DSR.[14]

In ogni caso, visto il quadro delineato, gli Stati membri dell’Unione Europea dovrebbero puntare a definire e mantenere una posizione comune nell’approccio alla Via della Seta Digitale e, più in generale, alla Belt and Road Initiative[15]. L’adozione di strategie coordinate sarebbe infatti essenziale per evitare che Pechino possa sfruttare le divisioni interne al continente europeo, rafforzando la propria posizione negoziale attraverso accordi bilaterali con i singoli Stati. Questa dinamica, purtroppo già osservabile in vari ambiti, indebolisce la capacità dell’Europa di agire come attore unitario sulla scena globale e ostacola il margine d’azione collettivo. Quanto auspicato non è però da tradursi in un rifiuto a priori degli investimenti cinesi; al contrario, l’UE dovrebbe adottare un approccio selettivo che accolga con favore gli investimenti provenienti dalla Cina, a patto che siano in linea con i principi fondamentali dell’ordinamento europeo.[16]

[1]Jean-Pierre Darnis, “L’Unione europea tra autonomia strategica e sovranità tecnologica: problemi e opportunità”, IAI Papers, 19 maggio 2021, p. 18.

[2] Carolina Polito, “La governance globale dei dati e la sovranità digitale europea”, IAI Papers, 11 marzo 2021, p. 9.

[3] Ibidem.

[4] Ibid., p. 5.

[5]Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: “Plasmare il futuro digitale dell’Europa”, del 19 febbraio 2020, COM (2020) 67 final.

[6] Ibidem.

[7] Si veda nota 2.

[8]Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: “AI Continent Action Plan”, del 9 aprile 2025, COM (2025) 165 final.

[9] Ibidem.

[10] Beda Romano, “Ue, obiettivo 200 miliardi di investimenti per l’intelligenza artificiale per competere con Cina e Usa”, Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2025.

[11] Si tratta di un ramo del piano di sviluppo internazionale Belt and Road Initiative (BRI).

[12] Elisa Oreglia, “Digital Silk Road: tech cinese oltre frontiera”, ISPI, 17 ottobre 2024.

[13] Mira Fiordalisi, “Elettronica e digitale, si amplia il gap Ue-Cina: a rischio la sovranità tecnologica”, CorCom, 23 gennaio 2024.

[14] Si veda nota 12.

[15] Lo scopo del piano, lanciato nel 2013, è arrivare a creare una vasta rete di infrastrutture e scambi commerciali che colleghi l’Asia, l’Europa e l’Africa. Si ispira all’antica Via della Seta e comprende rotte terrestri e marittime. In questo modo, si vogliono rafforzare i legami economici globali e aumentare l’influenza della Cina in generale.

[16] Clayton Cheney, “Investimenti: vantaggi e rischi della sfida digitale cinese”, ISPI, 11 maggio 2020.

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