La responsabilità degli Stati nel cambiamento climatico e la crisi ecologica globale. Identificazione dei profili di responsabilità comune. (Parte II)

Abstract

Il contrasto al cambiamento climatico rappresenta un punto fermo dell’agenda politica internazionale evoluta nel corso dei decenni dalla firma dei primi trattati internazionali fino all’accordo di Parigi del 2015. L’articolo, strutturato su due uscite separate, si interroga sul concetto della responsabilità del danno climatico, circostanziando dapprima la nozione di questione climatica, attraverso un’introspettiva finalizzata alla definizione del limine territoriale imputabile al danno ambientale. Quindi, il contributo sottolinea come sia specificamente necessaria l’adozione di misure di mitigazione stringenti al fine di ridurre le emissioni di GHG ed, infine, attraverso questo filo conduttore analizza il concetto di “giustizia climatica” individuando, nella recente belligeranza russo-ucraina, le conseguenze di un peggioramento delle condizioni necessarie per attuare il contrasto al cambiamento climatico.

3. La giustizia climatica e l’impatto della guerra sul cambiamento climatico.

L’elaborazione concettuale della formula “giustizia climatica” identifica un campo semantico tanto ampio quanto articolato, intrecciato in un filone giuridico-scientifico ed etimologico che affonda le radici in un’analisi novecentesca dalle risultanze non incoraggianti.

Se è vero che sotto il profilo del diritto comparato la definizione di “giustizia” risulta talvolta essere slegata da quegli elementi distintivi e determinanti dell’elaborazione giurisprudenziale riferibile alle variabili ambientali. Allo stesso modo filosofie ed etiche ambientali trattano questioni di “giustizia” senza considerare i differenti sistemi normativi, sui quali le tematiche ambientali sono giuridicamente regolate.

L’individuazione precisa di una definizione potrebbe aggirarsi attorno alla questione di giustizia sociale “locale” del danno ambientale, il cui orientamento è determinato dalla necessità, sul fronte dell’imputazione della responsabilità dei singoli Stati, di individuare un colpevole delle pratiche dannose a carico dell’ambiente.

La transnazionalità dei fenomeni inquinanti ha portato quindi all’adozione del c.d. Carbon Budget ossia della quantità di CO2 che può essere emessa senza pregiudicare il riscaldamento globale, contenuto entro i 2°C.

Il criterio di giustizia climatica occorre nel momento in cui si analizza la capacità di rispettare questo tetto e soprattutto si assume la consapevolezza della disparità tra Stati più ricchi ed efficienti rispetto a quelli più poveri e dotati di minori tecnologie per il contenimento delle emissioni. Il gap tra questi porta all’interrogativo sulla corretta conciliazione tra due situazioni di “giustizia”: da una parte quella del Carbon Budget e dall’altra quella locale della Carbon footprint. Inoltre, il sistema fin qui definito non chiarisce né tantomeno puntualizza le responsabilità giuridiche dei soggetti rispetto ai cambiamenti antropogenici determinati, ingenerando un meccanismo dualistico in cui il sistema del Carbon Budget penalizza i Paesi esportatori a vantaggio degli importatori, i quali saranno più virtuosi sul fronte climatico; sotto un altro profilo invece l’aumento delle emissioni genera negli Stati meno climalteranti eventi atmosferici estremi. Da questo quadro emergono quindi altri interrogativi relativi al criterio della “giustizia climatica” e soprattutto alla responsabilità delle emissioni e alla residua quantità di Carbon Budget disponibile.

Delineato il preambolo generale al criterio di giustizia climatica, in senso analogico a quanto definito, il contrasto al cambiamento climatico antropogenico rappresenta una potenziale vittima del conflitto ucraino: un evento dei risvolti geopolitici ed energetici che minaccia le politiche di contrasto al cambiamento climatico definite negli ultimi trent’anni.

Il pericolo più importante che caratterizza il secolo attuale è rappresentato dall’ipotesi di derubricare il contrasto al cambiamento climatico da “urgenza” ad un semplice “obiettivo di una politica internazionale”, concentrata invece a costruire una pace senza una giustizia climatica. Si palesa così il rischio che le conseguenze geopolitiche del conflitto possano vanificare gli sforzi definiti dall’accordo di Parigi e nel dettaglio analizzati dall’IPCC.

Se da un lato la quesitone climatica rappresenta un’emergenza combattuta dalla comunità internazionale nell’interesse del genere umano, allo stesso modo il conflitto ucraino rappresenta una motivazione di riflessione in funzione dell’aggravio delle condizioni ambientali globali ed anche lo strumento di valutazione dei presupposti di “giustizia climatica” attorno cui ruota il conflitto e per il quale il danno ambientale non può in alcun modo localizzarsi ai confini del singolo Stato, ma inevitabilmente intacca la salubrità climatica globale.

Poiché la questione climatica è imperniata sulla logica locale-globale-locale (evento-danno-effetto), richiede un approccio di tipo comunitario e maggiormente consapevole, che sia legato alla sensibilità comune sui rischi connessi al riscaldamento globale e a tutte le variabili che lo determinano.

4. Conclusioni

La connessione tra ambiente e vita umana, o meglio ambiente e qualità della vita umana rappresenta un diritto fondamentale imprescindibile per garantire standard minimi della dignità dell’uomo. La tutela di tali principi fondamentali è veicolata attraverso la protezione della natura e di tutte le sue risorse. Ciò che appare evidente è la necessità di instaurare filoni di condivisione finalizzati a incanalare le scelte regolative degli Stati in un percorso comune, formato di politiche efficaci di contrasto al cambiamento climatico. Ogni approccio lesivo dell’integrità della comunità internazionale, come il conflitto russo-ucraino, lede alla possibilità di mettere in pratica soluzioni comuni ad un problema climatico che è presente per l’intera comunità internazionale, da parte a parte della sfera terrestre.

La questione climatica va quindi affrontata dall’intera società in comunione d’intenti, constatata la comune responsabilità verso il riscaldamento globale e l’impossibilità per ciascuno Stato, nella propria singolarità, di ottenere risultati tangibili in tema di contrasto al cambiamento climatico. Questa azione sarà tanto forte quanto più gli interventi mitigativi saranno mirati e adeguati, finalizzati alla prevenzione dei tipping point oltre i quali non sarà più possibile evitare impatti irreversibili sugli ecosistemi e di conseguenza sulla vita umana.

Pare quindi essere una follia l’accettazione di un conflitto a causa del quale procrastinare l’emergenza climatica ha come unico effetto il suo costante ed inesauribile acuirsi, la cui risoluzione è finalizzata alla tutela globale delle condizioni ambientali così anche di tutti i diritti fondamentale degli esseri viventi.

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