Brexit e “New-Deal”: quali i possibili futuri scenari?

Bandiere dell'UE e del Regno Unito usate come segnali stradali che vanno in direzioni opposte

Il maggiore problema che l’Unione Europea sta affrontando, negli ultimi anni, è il possibile recesso del Regno Unito, ossia la cosiddetta Brexit.

L’articolo 50 del TUE

L’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea prevede la possibilità di un recesso volontario e unilaterale di un Paese dell’UE, previa notifica della volontà di recedere al Consiglio europeo. A decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, entro i due anni successivi alla notifica del recesso, i trattati cessano di aver vigore nello Stato uscente (il Regno Unito nel caso di specie), a meno che il Consiglio non decida di concedere una proroga

In particolare, a seguito del referendum sulla Brexit, che si è svolto a Londra nel 2016, era stato raggiunto un accordo tra l’UE e il Regno Unito, che però non è stato ratificato dal Parlamento britannico; da qui le diverse decisioni di proroga adottate dal Consiglio europeo in base alle quali il recesso sarebbe dovuto avvenire entro il 31 ottobre 2019.

I negoziati del 17 ottobre 2019

Il 17 Ottobre 2019 sono stati negoziati alcuni cambiamenti sui testi dell’accordo di recesso del Regno Unito dall’UE e della dichiarazione politica, che definisce il quadro delle future relazioni tra l’Unione Europea e il Regno Unito. I nuovi testi sono stati approvati dal Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre 2019. Tuttavia, il Parlamento britannico non ha ancora ratificato il testo dell’accordo di recesso, ritenendo necessario approvare, in via preliminare, le leggi che devono definire il quadro giuridico dopo l’uscita del Regno Unito dall’UE. Si deve peraltro ricordare che il Parlamento britannico aveva in precedenza stabilito che il recesso non può avere luogo in assenza di accordo sui suoi termini.

Una nuova proroga

Di conseguenza, il Consiglio europeo, sulla base della richiesta del Regno Unito, il 28 ottobre 2019 ha concesso un’ulteriore proroga, dal 31 ottobre 2019 al 31 gennaio 2020, per la ratifica dell’accordo di recesso. Nonostante tale decisione, nel caso in cui l’accordo di recesso venga ratificato da entrambe le parti, il recesso del Regno Unito potrà anche avvenire prima del 1° febbraio 2020, nelle date del 1° dicembre 2019 o del 1° gennaio 2020.

Il New-Deal nel dettaglio

Prestando specifica attenzione all’intesa raggiunta tra Londra e Bruxelles lo scorso 17 Ottobre 2019, è evidente che essa, da un lato, lascia inalterata la maggior parte dei punti previsti e presenti nel precedente accordo raggiunto dal governo di Theresa May (ma respinto tre volte dal Parlamento britannico), ma dall’altro modifica la parte relativa all’Irlanda del Nord e ai futuri rapporti tra Regno Unito e Unione Europea.

Cosa rimane inalterato?

Nel dettaglio, i punti che rimangono inalterati includono le regole che garantiscono continuità dei diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito e dei cittadini britannici residenti all’interno dell’UE, dopo che la Brexit effettivamente si realizzerà; in secondo luogo, permane a carico del Regno Unitoil cosiddetto ‘costo del divorzio’, che equivale a 45 miliardi di euro, da versare interamente nelle casse dell’Unione Europea; da ultimo, resta altresì inalterata la previsione di un periodo transitorio (fino a fine 2020), durante il quale tutte le normative vigenti nell’UE rimarranno in vigore anche nel Regno Unito, al fine di agevolare il distacco di quest’ultimo dall’UE e renderlo meno traumatico possibile per i cittadini e le imprese che, fino a poco tempo prima, potevano ritenersi anche europee.

Cosa, invece, cambia?

È opportuno ricordare che, in materia di rapporti economici tra Regno Unito e Unione Europea, il precedente accordo prevedeva la sostanziale permanenza ‘sine die’ del Regno Unito all’interno dell’unione doganale europea, con una conseguente ed evidente limitazione cui veniva sottoposto il Regno Unito nel concludere accordi commerciali con Paesi extra-UE. Per tale ragione, il cosiddettoNew-Deal’, sottoscritto dall’attuale Primo ministro inglese, Boris Johnson, e dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, prevede, invece, la possibilità di negoziare con l’UE un accordo di libero scambio, senza la previsione di dazi né di contingenti tra l’UE e il Regno Unito,così riducendo il livello di integrazione tra mercato britannico e Mercato unico europeo.

L’Irlanda del Nord: la custom partnership e il futuro ruolo del Parlamento nordirlandese

In merito alla regolamentazione dei futuri rapporti con l’Irlanda del Nord, l’accordo non prevede la creazione di alcuna frontiera fisica sull’isola d’Irlanda, in modo da tutelare sia l’economia dell’intera isola sia l’accordo del Venerdì Santo (accordo di Belfast) e salvaguardare, al contempo, l’integrità del Mercato unico europeo. Piuttosto, esso ha programmato la creazione di una dogana nel mare d’Irlanda, recuperando un’idea già presente nell’accordo May: la cosiddetta custom partnership’, in base alla quale l’Irlanda del Nord, pur rimanendo nell’unione doganale britannica, applicherebbe i dazi e le regole previste in materia dall’UE. Quindi, ai beni facenti ingresso nella regione irlandese verrebbero applicati i dazi europei; tuttavia, qualora la Gran Bretagna prevedesse un dazio più basso per uno specifico bene in ingresso, l’importatore potrebbe richiedere alle autorità britanniche la restituzione della differenza.

Tale possibile soluzione non è stata, però, condivisa dagli unionisti nordirlandesi, secondo i quali, in tal modo, si provocherebbe un distacco sempre più accentuato tra la loro regione e il Regno Unito. Per questo motivo, l’accordo negoziato da Johnson ha, altresì, previsto l’intervento del Parlamento nordirlandese (Stormont), al quale viene data la facoltà di porre fine all’accordo dopo quattro anni, decorrenti dalla data di inizio del periodo di transizione. Di contro, per confermare l’accordo, viene richiesta all’assemblea legislativa soltanto la maggioranza semplice; qualora, invece, la maggioranza dovesse essere superiore a quella semplice (maggioranza “cross-community”), l’accordo verrebbe automaticamente rinnovato per ulteriori quattro anni (ossia, per un totale di otto anni).

Incertezza ed elezioni britanniche

Dunque, attualmente, la situazione risulta del tutto indefinita e tale clima di grande incertezza persisterà fino all’esito delle prossime elezioni britanniche, già indette da Johnson, data la mancanza della maggioranza parlamentare necessaria per la ratifica dell’accordo di recesso.

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