La tutela dei Diritti Umani nell’UE e il contributo del dialogo tra la Corte di giustizia e le Corti costituzionali italiana e tedesca

L’Europa è il risultato di un lungo processo di integrazione, ma anche il frutto dei Trattati che nel tempo si sono susseguiti, i quali originariamente prediligevano l’aspetto economico e all’interno di essi non si dava spazio alla protezione dei diritti umani fondamentali. Nonostante ciò, la Corte di giustizia europea, nella sua giurisprudenza, ha garantito la protezione di tali diritti.

Una delle ragioni per cui il diritto dell’UE ha assunto grande rilevanza è data da due caratteristiche di tale ordinamento, che la Corte di giustizia ha enucleato in due pronunce: la prima è l’efficacia diretta, individuata nella sentenza Van Gend & Loos, nella quale la Corte ha affermato che le norme del diritto dell’UE possono produrre effetti giuridici nell’ordinamento degli Stati membri, anche se questi non hanno adottato alcuna misura di esecuzione; la seconda caratteristica emerge dalla sentenza resa nel caso Costa contro Enel, ed è data dal principio del primato del diritto dell’UE rispetto al diritto degli Stati membri, il quale è una conseguenza dell’efficacia diretta, dato che la funzione è di garantire che le norme del diritto dell’UE possano spiegare i loro effetti nei vari ordinamenti degli Stati membri e i diritti conferiti da tali norme dell’Unione possano essere pienamente esercitati.

Per effetto della giurisprudenza della Corte di giustizia si poteva determinare la violazione dei diritti fondamentali protetti dalle costituzioni nazionali. Nel 1974 le Corti costituzionali, italiana e tedesca, affermarono il loro potere di garantire l’applicazione del diritto interno quando l’applicazione del diritto dell’Unione avrebbe determinato la violazione dei diritti fondamentali garantiti dalle costituzioni (rispettivamente sentenza Frontini e sentenza Solange).

Nel caso Frontini (C 183/73), si chiarì che l’unico limite all’efficacia diretta del diritto dell’allora CEE nell’ordinamento italiano era il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico o dei diritti umani inalienabili del nostro ordinamento. Qualora norme della CEE avessero violato tali principi o diritti, si sarebbe determinata una limitazione di sovranità, che non era consentita dall’Italia. Tale ipotesi fu relegata dalla Corte nel campo delle eccezioni, confidando nella tutela giurisdizionale, che già veniva offerta dalla Corte di Giustizia. In via residuale, la Corte costituzionale affermò però il proprio diritto di verificare la “compatibilità del Trattato” con tali principi e/o diritti. La Corte costituzionale ha ricordato che, rispetto alle originarie competenze dell’allora CEE (di natura prettamente economica), fosse difficile prospettare una violazione dei diritti in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici. Si introduce così il concetto di controlimiti, ovvero il possibile intervento della Corte costituzionale sulla legge di ratifica dei Trattati, nella misura in cui atti normativi europei si pongano in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione o con i diritti inviolabili della persona.

Nella giurisprudenza tedesca l’idea di controlimiti venne affermata nella sentenza Solange I (1974), nella quale il Tribunale costituzionale federale affermava che l’UE non è altro che un peculiare ordinamento, che nasce da autonome fonti del diritto. In questo modo si mette in luce l’indipendenza e l’autonomia dell’ordinamento tedesco e dell’ordinamento comunitario, ciò che comportava l’impossibilità di pronunciarsi sulla validità delle norme dell’altro ordinamento; pertanto, il giudice comunitario non poteva decidere se una norma del diritto comunitario costituisse violazione della GG (legge fondamentale della Repubblica federale di Germania), ed analogo limite valeva per il giudice tedesco. Inoltre, la Corte costituzionale tedesca stabilì che avrebbe continuato a verificare la compatibilità degli atti comunitari con la Legge Fondamentale, fintantoché la CEE non si fosse dotata di un catalogo di diritti fondamentali. Quindi la Corte costituzionale tedesca afferma che l’ordinamento tedesco non può accettare l’applicazione assoluta del principio del primato, fin quando la comunità non sviluppi un sistema di tutela dei diritti fondamentali equivalente al sistema tedesco.

Questa competenza delle Corti nazionali non è mai stata riconosciuta formalmente dalla Corte di Giustizia, che, anzi, ha sempre riaffermato il principio del primato del diritto comunitario anche di fronte a norme costituzionali interne di segno opposto.

A seguito di queste sentenze la Corte di giustizia ha riconosciuto i diritti fondamentali come principi generali. Tali principi si ispirano alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e ai Trattati internazionali che proteggono i diritti umani.

Successivamente la Corte costituzionale tedesca si è trovata, nuovamente, ad affrontare la questione all’interno nella sentenza Solange II (1986). Il Tribunale costituzionale, sollecitato a rispondere se i regolamenti della Commissione violassero o meno i diritti fondamentali, ritenne di non dover intervenire in tutti quei casi in cui le Comunità europee e, in particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia fossero in grado di garantire .in sostanza equivalente a quella della GG, tanto da assicurare il contenuto essenziale dei diritti fondamentali. Nella pronuncia la Corte costituzionale tedesca riconosce che nell’ambito delle Comunità europee sia stata assicurata la protezione dei diritti fondamentali, ritenendo che per concezione, contenuto ed efficacia essa è ormai corrispondente allo standard dei diritti fondamentali della Legge fondamentale.

Nel recente caso Taricco recente la Corte costituzionale ha fatto applicazione della giurisprudenza sui controlimiti, Il caso prende avvio da una questione pregiudiziale che un giudice italiano rivolge alla Corte di giustizia, nell’ambito di un procedimento penale in materia di interessi finanziari, con riferimento alla disciplina in materia di prescrizione. La Corte di giustizia ha affermato l’incompatibilità della normativa italiana sulla prescrizione dei reati finanziari con l’art. 325 TFUE che protegge gli interessi finanziari dello Stato. La pronunzia resa dalla Corte obbliga i giudici italiani a disapplicare le norme sulla prescrizione, scelta che però si pone in contrasto con il principio di legalità. Infatti la CGUE ha statuito che: ‘Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE’. Questa interpretazione si pone però in contrasto con il principio di legalità.

A questo provvedimento hanno fatto seguito reazioni contrastanti nella giurisprudenza nazionale. La Corte di cassazione ha ritenuto di dover disapplicare la norma in questione perché considerava presenti le condizioni indicate per la sussistenza di tale obbligo di disapplicazione. Ma la Corte di appello di Milano ha ritenuto, invece, di dover sollevare questione di legittimità costituzionale nella parte in cui si doveva procedere alla disapplicazione delle norme esistenti in materia di prescrizione ciò che avrebbe determinato un contrasto con l’articolo 25 Cost. Per questa ragione è stato operato un nuovo rinvio alla Corte costituzionale, in ragione del fatto che la soluzione proposta nel caso Taricco solleva dei dubbi in relazione ai principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e al rispetto dei diritti fondamentali. La Corte costituzionale italiana ha ritenuto di non emanare una sentenza, per non applicare i controlimiti, ma ha rimesso in via pregiudiziale la questione di interpretazione alla CGUE.

Nella sentenza resa in via pregiudiziale, nota come ‘Taricco bis’ (C 42/17) la Corte ha affrontato il problema sotto l’ottica del riparto di competenze, considerando la materia come competenza concorrente. Quindi si è accettata la qualificazione data nel sistema italiano alle norme sulla prescrizione e di conseguenza si è accettato che i giudici italiani considerino la disapplicazione in contrasto con il principio di legalità. Il risultato a cui si è pervenuti a seguito di Taricco bis è quello di un generico limite alla disapplicazione indicato dalla CGUE, alla cui attuazione sarebbero chiamati i giudici nazionali, senza passare dalla Corte costituzionale, con il rischio di un’applicazione non univoca di tali parametri. Quindi la Corte oltre a cercare una soluzione di compromesso, ha riconosciuto nuovamente la necessità di garantire i diritti fondamentali e di considerare i livelli di tutela offerti dai sistemi nazionali.

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