Un approfondimento
In questi giorni si è parlato tanto della necessità, per l’UE e per i suoi Stati membri, di individuare strumenti innovativi o di adattare strumenti e meccanismi esistenti così da poter fronteggiare la crisi presente (e quelle che eventualmente verranno). Alcuni di questi provvedimenti, a detta di Franco Bruni, professore ordinario di Teoria e politica monetaria internazionale presso l’Università Bocconi e vicepresidente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), potrebbero, nel caso in cui venissero scelti e conseguentemente applicati, «generare innovazioni istituzionali importanti e mantenere la loro funzione nel lungo termine»[1].
Quali sono state [alcune del]le possibilità sinora esplorate per gestire«la crisi e preparare il terreno per la ripresa economica»? Scopriamole insieme.
Opzione 1: Le linee di credito previste dal Meccanismo europeo di stabilità (MES)
Pare che tra i ministri dell’Economia e delle Finanze dell’UE (e dell’Eurozona) prevalga la tendenza a basarsi «sul solido quadro già esistente», nel tentativo di rafforzarlo, riformarlo e perfezionarlo. Difatti, l’opzione che ha raccolto «il più ampio consenso» è quella relativa all’attivazione di linee di credito già previste dal Meccanismo europeo di stabilità (o Fondo salva-Stati): la Precautionary conditioned credit line (PCCL) e l’Enhanced conditions credit line (ECCL). Cosa sono? Si tratta di prestiti e finanziamenti volti ad assicurare credibilità e un’adeguata rete di sicurezza agli Stati in condizioni economico-finanziarie fondamentalmente sane, che si trovano però a dover affrontare crisi più o meno gravi.
#Cos’è?
Meccanismo europeo di stabilità (MES): noto anche come Fondo salva-Stati, è un’organizzazione intergovernativa – il cui Trattato si affianca, senza essere incluso, in quelli UE – che ha lo scopo di fornire assistenza finanziaria agli Stati europei che sono a rischio collasso. Nata dopo la crisi dei debiti sovrani che ha colpito l’Eurozona nel 2010-11, il MES è subentrato al Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF), che aveva carattere temporaneo.
L’accesso a tali sostegni finanziari è tuttavia subordinato a una serie di criteri di ammissione[2] e all’assunzione di impegni particolarmente gravosi da parte dei Paesi coinvolti. È sulla diversa gradazione di questi requisiti che si gioca la differenza tra i due strumenti: mentre la PCCL prevede criteri di ammissione più stringenti rispetto all’ECCL (aperto anche a quegli Stati membri del MES che non sono conformi ad alcuni di essi), quest’ultima risulta essere più esigente per quel che riguarda i programmi di aggiustamento economico. Difatti, nel caso della PCCL, la richiesta del prestito non è condizionata alla stipula di un Memorandum of Understanding[3] (MoU) – prevista, invece, per l’ECCL –, ma alla “sola” sottoscrizione di una Lettera d’intenti, nella quale il Paese si impegna a rispettare gli stessi criteri di ammissione che gli hanno concesso di accedere alla linea di credito in questione[4].
È facile dedurre che, così concepite, entrambe le linee di credito non paiono rappresentare gli strumenti adatti a fornire una rete di protezione sufficiente a difendere i cittadini dell’Unione, gli Stati membri, l’Eurozona e l’UE stessa dalla crisi in corso, né, tantomeno, a favorire la ripresa economica una volta superata l’emergenza. Infatti, l’uno (PCCL) renderebbe difficile l’accesso ai finanziamenti a quei Paesi caratterizzati da instabilità e squilibri economici; l’altro (ECCL) finirebbe per rivelarsi una cura peggiore della malattia e rischierebbe di innescare un pericoloso effetto domino in grado di trascinare anche gli Stati considerati meno vulnerabili. Appare interessante, a tal proposito, l’ipotesi di una riforma delle regole del Fondo salva-Stati, che consentirebbe ai Paesi di chiedere prestiti di tipo speciale vincolati solo all’andamento dell’emergenza e alla destinazione condizionata dei fondi.
Ciò detto, nel caso in cui si decidesse di utilizzare questi strumenti (più o meno modificati), sarà necessario preoccuparsi di considerare anche il fattore “opinione pubblica”: come contrastare la percezione e l’immagine che i cittadini dell’UE si sono fatti del MES, grazie alla pubblicità negativa fatta dagli euroscettici e al ricordo ancora vivo delle misure draconiane applicate proprio dal MES alla Grecia?[5]
Opzione 2: Outright Monetary Transactions (OMT, Operazioni monetarie definitive)
Con questa espressione si indica una delle politiche “non convenzionali” (cioè straordinarie) di cui la Banca centrale europea (BCE) dispone. Si tratta, nello specifico, di un’assicurazione sul debito degli Stati che si concretizza in programma di intervento sul mercato secondario, attraverso cui la BCE acquista, senza alcun limite quantitativo e qualitativo, titoli di Stato a scadenza breve (1-3 anni) dei Paesi membri dell’Eurozona minacciati da attacchi speculativi che tendono ad accrescerne rendimenti e spread (da cui l’altro nome, per le OMT, di Piano anti-Spread). Tale opzione non è mai stata concretamente applicata. Tuttavia l’annuncio di una sua possibile attuazione da parte dell’ex presidente della BCE, Mario Draghi, è bastato a ripristinare l’ordine sui mercati in una delle fasi più negative vissute dalla moneta unica, quella della crisi dei debiti sovrani[6].
Il problema, ancora una volta, attiene al tema della condizionalità: difatti, per attivare le OMT, è necessario non solo interpellare il MES, ma anche sottoscrivere un piano (un MoU) contenente misure tese a risanare le debolezze strutturali e macroeconomiche del Paese richiedente – un sacrificio difficile da digerire, in tempi difficili come quelli che tutti stiamo vivendo –; a verificare l’effettiva realizzazione di questi provvedimenti, autorità europee e Fondo monetario internazionale (FMI)[7].
Da strumento inizialmente contestato da chi temeva la violazione dei Trattati UE (l’art. 125 del Trattato sul funzionamento dell’UE – TFUE e la nota clausola di non salvataggio), pare che il Piano anti-Spread abbia recentemente suscitato l’approvazione degli Stati del Nord, che propenderebbero per questa ipotesi in luogo di quella che contempla l’emissione di Eurobond. Dunque, come utilizzare le Operazioni monetarie definitive per fronteggiare l’attuale emergenza nei Paesi della zona Euro? L’idea di fondo sarebbe quella di «ammorbidire le condizionalità», vincolando la creazione del debito che la BCE dovrebbe assicurare alle spese legate alla crisi del Covid19[8].
Opzione 3: Covid-Bond o European Recovery Bond
È questo il punto su cui giovedì scorso si è consumato (e probabilmente continuerà a consumarsi) lo scontro tra Nord e Sud Europa. Un nome (il secondo) che a molti studenti richiamerà alla mente lo European Recovery Program (rientrante nella più ampia strategia definita dal Piano Marshall) con cui gli USA, all’indomani della Seconda guerra mondiale, avviarono un piano di sostegno alla ricostruzione dei Paesi del Vecchio continente.
La proposta dei Covid-Bond riprende un’ipotesi non nuova: quella degli Eurobond, ossia di titoli del debito pubblico (europeo) emessi congiuntamente dagli Stati dell’Eurozona e di cui questi ultimi risultano essere responsabili in solido. Il maggior pregio di tali strumenti consisterebbe nel poter beneficiare sui mercati della credibilità e dell’affidabilità delle economie europee più forti – vantaggio che si ripercuoterebbe su tassi e rendimenti più bassi per i Paesi più vulnerabili. Ciò detto, non appare strana l’opposizione a questi strumenti da parte di quegli Stati che si considerano virtuosi (di recente, frugali), che potrebbero trovarsi a dover pagare per il salvataggio di Paesi che lo sono (storicamente) meno. Alla questione del risk-sharing si aggiungerebbe, poi, una serie di altre motivazioni – dall’assenza di una Unione fiscale alla distanza che potrebbe crearsi tra «l’utilizzo regionale delle risorse che verrebbero create attraverso un Eurobond universale»[9], passando per la necessità di stabilità a livello di tassi di interesse e la difficoltà di individuare le garanzie da offrire agli eventuali acquirenti[10].
Esistono, tuttavia, delle differenze tra gli “Eurobond in senso stretto” e gli European Recovery Bond (ossia i bond legati alla sola emergenza che stiamo vivendo), la più importante delle quali risiede nel fatto che, nonostante si tratti dell’emissione, da parte di un’istituzione dell’UE (probabilmente la Banca europea degli investimenti – BEI), di obbligazioni comuni accessibili a tutti gli Stati membri, la responsabilità ricade sui singoli Stati (non è, dunque, condivisa) – un aspetto che il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, ha sottolineato con durezza affermando che «nessuno pensa a una mutualizzazione del debito pubblico, ciascun paese risponde per il suo e continuerà a farlo»[11].
È chiaro che, se mai gli Stati membri dell’UE e, in particolare, quelli della zona Euro dovessero dare il via libera alla loro adozione, i Covid-Bond potrebbero effettivamente «riaprire la strada agli Eurobond, costituendone un “antenato” e un precedente importante per disegnare il futuro dell’Unione fiscale»[12].
[1] Bruni, F., “Tre strumenti (europei) per rilanciare l’economia dopo lo shock Covid-19”, in Istituto Affari Internazionali (IAI), 20.3.2020
[2] Tra i criteri di elegibilità: a) rispetto delle disposizioni contenute nel Patto di stabilità e crescita o, in caso di Stato sottoposto a procedura per disavanzo eccessivo (Excessive deficit procedure – EDP), garanzia di un aggiustamento rapido e progressivo del deficit; b) sostenibilità del debito pubblico; c) osservanza degli impegni assunti nell’ambito della procedura per gli squilibri macroeconomici (Excessive imbalance procedure – EIP); d) possesso di una storia di accesso ai mercati di capitali a condizioni ragionevoli; e) presenza di vulnerabilità sostenibili nella propria posizione esterna; f) assenza di problemi di solvibilità bancaria (cfr. European Stability Mechanism. Guideline on Precautionary Financial Assistance).
[3] Recante disposizioni sull’adozione di riforme strutturali e di misure di riduzione della spesa pubblica.
[4] Ibidem. Vedi anche Bonini, E., “Coronavirus, l’Eurogruppo si blocca: sa che va fatto di più ma non sa decidere. La parola ai leader UE”, in eunews, 24.3.2020; Bruni, F., cit.; Smith-Meyer, B., “EU finance ministers deadlock on coronavirus economic strategy”, in Politico, 24.3.2020; Villafranca, A., “Italia e coronavirus: Fondo salva-stati sì o no?“, in ISPI, 23.3.2020.
[5] Ibidem. Vedi anche Statement on COVID-19 economic policy response.
[6] Cfr. Bruni, F., cit; Scavone, C., “Outright Monetary Transactions e Quantitative Easing: il tramonto della Goldilocks Economy”, in Cattolica Global Markets Magazine, 2.7.2018; “OMT (Outright Monetary Transactions)”, in Dizionario di Economia e Finanza. Treccani, 2012.
[7] Ibidem.
[8] Bruni, F., cit.; Mastrobuoni, T., “Coronavirus, Lagarde inverte la rotta.: la Bce lancia “quantitative easing” da 750 miliardi per l’emergenza”, in La Repubblica, 19.3.2020; Look, C.-Skolimowski, P., “ECB Open to Launching Draghi’s 2012 Bond-Buying Tool”, in Bloomberg, 25.3.2020.
[9] Tentori, A., “Eurobond: cosa sono, perché ora servono e perché ancora non si emettono”, in Forbes, 24.3.2020.
[10] Sc., “Eurobond, il salvagente del debito europeo. Cosa sono, chi li vuole e chi li teme”, in QuiFinanza, 7.9.2011; Sc., “Conte e altri otto leader europei hanno scritto una lettera al Consiglio Europeo per chiedere l’emissione dei cosiddetti ‘eurobond’”, in Il Post, 25.3.2020.
[11]Corda , N., “Sugli Eurobond lo strappo di Conte. ‘Senza nuovi strumenti facciamo da soli’”, in eunews, 26.3.2020.
[12] Sc., “Coronavirus, arrivano gli Eurobond? Cosa sono e come funzionano”, in QuiFinanza, 19.3.2020. Vedi anche Sc., “Conte e altri otto leader europei hanno scritto una lettera al Consiglio Europeo per chiedere l’emissione dei cosiddetti ‘eurobond’”, in Il Post, 25.3.2020; Romano, B., “Ue, da Conte e altri otto leader una lettera per chiedere i Coronabond”, in Il Sole 24 Ore, 25.3.2020. Per ulteriori ipotesi di utilizzo degli Eurobond, si legga anche l’articolo di Bruni, F., cit.