Un caricabatteria standardizzato: la Proposta della Commissione europea

Lo scenario

È dello scorso 23 settembre la Proposta di direttiva della Commissione europea, che si prefigge lo scopo di armonizzare ex lege le modalità di ricarica di un ampio spettro di apparecchiature radio[1], smartphone su tutti, modificando la precedente normativa.

Invero, l’azione che l’Istituzione comunitaria intende porre in essere si dipana attraverso tre direttrici:

  • rendere obbligatoria la presenza sul mercato di un unico tipo di dispositivo di ricarica, utilizzando la tecnologia USB-C;
  • armonizzare i protocolli di ricarica, in modo da rendere intercambiabili tutti i caricabatterie;
  • incoraggiare la vendita c.d. unbundling (cioè del solo dispositivo sprovvisto di caricabatteria).

Tuttavia, questa non è una notizia. Infatti, la Commissione, già dal 2009 si è impegnata nell’ottica di (dapprima ridurre, poi) uniformare la tipologia di dispositivi di ricarica per le apparecchiature radio. Questo ha portato i principali produttori (LG, NOKIA, Qualcomm, Samsung, Motorola, NEC, RIM, Sony Ericsson, Texas Instruments) a siglare un memorandum of understanding[2] (MoU)che ha avuto come principale effetto quello di ridurre la varietà di dispositivi presenti in commercio da 30 a soli 3, facendo salve le interfacce di ricarica c.d. “proprietarie” (il lightning utilizzato da Apple su tutti). Alla scadenza del MoU, nel 2014, la Commissione ha cercato di proporre un nuovo accordo, ma non è stato possibile raggiungere un’intesa, complice anche la reticenza dei produttori in tal senso, fino al 2018, quando sono stati proprio questi a cercare di risolvere l’impasse proponendo la bozza di un nuovo protocollo d’intesa, stavolta ritenuto inadeguato dalla Commissione perché continuava a consentire l’immissione in commercio delle soluzioni brevettate.

Contestualmente, l’Istituzione comunitaria, allora guidata da Jean Claude Junker, ha ritenuto di avviare un’analisi d’impatto, supportata da due studi complementari[3], da cui è emerso che standardizzare l’interfaccia di ricarica e il protocollo di comunicazione per la ricarica, nonché incoraggiare/imporre ai produttori la vendita unbundling, porterebbe a ridurre sensibilmente la produzione di rifiuti elettronici e, allo stesso tempo, garantirebbe vantaggi pratici ed economici ai consumatori. Infatti, tali studi hanno evidenziato come sia di fondamentale importanza che i dispositivi siano dotati di protocolli di ricarica armonizzati, al fine di poter essere interoperabili, e che ai consumatori vadano fornite informazioni dettagliate sui requisiti di ricarica del dispositivo radio acquistato.


Scendendo più nel dettaglio, è emersa l’efficacia del MoU del 2009 in termini di armonizzazione sia dell’interfaccia di ricarica che dei protocolli di comunicazione per la ricarica medesima, con notevoli benefici per i consumatori. Esso non ha, tuttavia, raggiunto la piena armonizzazione delle soluzioni di ricarica. Inoltre, l’unbundling non è stato raggiunto in misura significativa e solo alcuni produttori hanno offerto ai consumatori la possibilità di acquistare un telefono senza un dispositivo di ricarica, con grave nocumento per i benefici attesi per l’ambiente. A supportare tali evidenze sono stati anche i risultati di una public consultation, indetta dalla Commissione europea sul tema, da cui è emerso che il 63% dei cittadini UE che ha partecipato alla consultazione ha espresso la propria insoddisfazione sullo scenario relativo ai caricabatteria di telefoni cellulari e la loro agevole interconnessione, mentre il 76% ha ritenuto la situazione in esame potesse comportare degli inconvenienti per gli utenti.

È emerso, inoltre, il pieno sostegno a favore di un caricabatteria standard. Il 63% si è espresso a favore dell’esercizio da parte dell’Unione del potere regolamentare di imporre uno standard per i caricabatteria. A rafforzare questi risultati, vi è la circostanza che, a dirsi favorevoli ad una soluzione di ricarica standard non sono solo i cittadini, ma anche le autorità pubbliche, le ONG e le organizzazioni dei consumatori.

In tema di impatto ambientale, è stato rilevato che il consumo di materie prime per la produzione di dispositivi di ricarica ha un’incidenza e – chiaramente – un impatto in termini di produzione di rifiuti elettronici alla fine del ciclo di vita del prodotto. È stato stimato che nel 2018 i caricabatteria per i soli smartphone abbiano prodotto circa 11.000 tonnellate di rifiuti elettronici e che le emissioni associate rilasciate durante ciclo di vita del prodotto siano state pari a circa 600 ktCO2e. La Commissione stima che queste cifre possano solo aumentare nei prossimi anni, a causa di un maggiore utilizzo di caricabatteria veloci e più pesanti.

Riguardo alla ricarica wireless, il relativo utilizzo da parte dei consumatori è aumentato fin dalla sua immissione sul mercato. Tuttavia, nonostante nel 2018 siano stati venduti circa 44 milioni di unità – pari al 28% del totale –, al momento questa tecnologia non è considerata un sostituto della ricarica con cavo a causa dei tassi di efficienza di tali caricabatteria. Per di più, stante l’attuale livello di avanzamento tecnologico e la sussistente coesistenza della ricarica wireless e di quella “tradizionale”, in un’ottica di sostenibilità, il potenziale di riduzione dei rifiuti elettronici attualmente è limitato, poiché i caricabatteria senza fili fanno un uso più intensivo dei materiali rispetto ai caricabatteria con cavo. In più, essendo una tecnologia che presenta una bassa diversificazione delle interfacce di ricarica e un buon livello di interoperabilità tra le soluzioni di ricarica, la Commissione europea ritiene prematuro introdurre requisiti obbligatori per tale tecnologia, riservandosi la possibilità (il potere) di farlo in futuro[4]. Venendo poi all’unbundling, è innegabile come tale iniziativa contribuirebbe al conseguimento degli obiettivi ambientali UE. Infatti, quanto più elevato è il tasso di unbundling, tanto maggiori sono i benefici ambientali e per i consumatori, in termini di convenienza e di risparmi sui costi. Tuttavia, è altrettanto innegabile come le opzioni di unbundling comportino compromessi evidenti per i consumatori, sebbene dalla public consultation sia emerso come la maggioranza degli stakeholders (autorità pubbliche, organizzazioni della società civile e privati cittadini) ritenga necessario imporre ai fabbricanti e ai distributori di far scegliere agli acquirenti se acquistare o meno un nuovo alimentatore esterno e/o un cavo con un nuovo telefono cellulare. Inoltre, nel 2020, alcuni produttori hanno annunciato (e messo in atto) l’eliminazione degli alimentatori esterni – nonché di altri accessori – dalla confezione di alcuni dei loro nuovi dispositivi.


La base giuridica

Nel frattempo, sono stati adottati due importanti atti normativi. In primo luogo, si fa riferimento alla Direttiva 2009/125/CE[5], c.d. Energy Related Products (E.R.P.), che ha dettato un quadro specifico in merito alla produzione ecocompatibile di apparecchiature connesse all’energia, estendendo l’ambito di applicazione della Direttiva 2005/32/CE[6] a tutti i “dispositivi connessi all’energia” e non più solo agli energy using products. Nell’alveo dei dispositivi connessi all’energia devono intendersiquelli che abbiano un impatto sul consumo energetico durante il loro utilizzo e che comprendano parti destinate ad essere incorporate in un prodotto connesso all’energia. Ciò ha comportato che i produttori rivedessero drasticamente l’intero processo di creazione dei dispositivi, anche in ottica del futuro smaltimento.

In particolare, l’atto normativo in esame ha inteso: vincolare la scelta dei materiali, in modo da prediligerne di riciclabili e non dannosi; orientare le fasi di progettazione del prodotto e delle le parti che lo compongono, in modo da favorire scelte che riducano i consumi di energia del prodotto e della sua produzione, optando per soluzioni che allunghino la vita del prodotto; favorire l’utilizzo di strutture che semplifichino la produzione, la manutenzione e lo smaltimento; incidere sulle fasi di fabbricazione, confezionamento, imballaggio, distribuzione del prodotto. Inoltre, la Direttiva 2009/125/CE ha imposto ai produttori di far sì che al consumatore vengano forniti manuali d’uso che contemplino gli aspetti riguardanti l’installazione, l’uso, la manutenzione, il tempo di vita del prodotto, la stima del suo consumo di energia per l’uso e la manutenzione, la segnalazione di emissioni del prodotto in aria, acqua e suolo, nonché alcuni consigli per il suo smaltimento. È chiaro come un siffatto quadro normativo abbia rappresentato un primo ed importante passo – benché non sufficiente – in ottica di una economia orientata in senso circolare.

Il secondo atto normativo che merita menzione è rappresentato dalla Direttiva 2014/53/UE[7], c.d. Radio Equipment Directive (R.E.D.), che ha sostituito la Direttiva 1999/5/CE[8], contribuendo ad armonizzare le legislazioni degli Stati Membri sulla immissione in commercio dei dispositivi radio che utilizzano lo spettro di radiofrequenze. Il relativo ambito di applicazione riguarda tutti i dispositivi elettrici ed elettronici che emettono e/o ricevono onde radio a frequenze inferiori a 3000 GHz. L’atto normativo in esame, inoltre, ha imposto di verificare se un prodotto, prima di essere immesso sul mercato, sia stato costruito in modo da garantire la sicurezza di persone e animali domestici e che abbia un adeguato livello di compatibilità elettromagnetica.


Le differenze tra i sistemi di ricarica

Come detto, sono fatte salve le soluzioni di ricarica proprietarie ed è proprio l’utilizzo di una di queste che costituisce il punctum dolens: ci si riferisce, nello specifico, al lightning.

Analizzando i pro e i contro delle due soluzioni (appunto, USB-C e ligthning):

  • Dimensioni: questo è forse l’aspetto che risalta più di tutti, data la differenza evidente che emerge dal confronto tra i sistemi considerati. Il connettore Apple, infatti, gode di dimensioni notevolmente inferiori rispetto a quello USB-C. Questo offre vantaggi in termini di progettazione dei dispositivi che possono essere più sottili, circostanza da non sottovalutare visto che è stata uno dei motivi principali del mancato passaggio di Apple a USB-C ed è anche la ragione per cui tale passaggio potrebbe non avvenire mai, nonostante praticamente tutti i dispositivi Apple, esclusi gli smartphone, abbiano già effettuato tale conversione. Per questi tipi di dispositivi probabilmente Cupertino deciderà in futuro di escludere completamente una porta di ricarica, passando alla ricarica wireless;
  • Capacità di ricarica: Apple non dichiara i dati di ricarica perché proprietaria di brevetto, ma la capacità massima supportata è 12W, mentre USB tipo C supporta una ricarica alla velocità massima di 100 W;
  • Fragilità: questo punto è direttamente collegato alle dimensioni. La grandezza dell’USB-C ne compromette la robustezza, rendendo frequenti le rotture del connettore, circostanza che non accade al più stabile sistema lightning, che però è esposto alle – altrettanto frequenti – rotture del cavo di ricarica.
  • Adattabilità: uno dei motivi che spinge la Commissione europea a rendere standard la tecnologia USB-C è l’intercambiabilità del dispositivo di ricarica. Infatti, l’utilizzo di questo tipo di tecnologia consentirebbe ai consumatori di utilizzare un unico cavo per tutti i dispositivi in loro possesso, visto l’ampio range in termini di watt supportato dall’USB-C. Questo renderebbe anche facilmente sostituibili i dispositivi forniti dal produttore in fase di acquisto con altri di terze parti. Al contrario, i dispositivi Apple sono progettati in modo da non consentire al consumatore di utilizzare prodotti non-Apple, dandogli, infatti, avviso della possibilità di arrecare gravi danni al dispositivo qualora ciò avvenga;
  • Velocità di trasferimento dati: il sistema lightning supporta lo standard della tecnologia USB 2.0 e cioè 480 Mbps, mentre USB-C consente di trasferire dati fino ad un massimo di 40 Gbps (40000 Mbps);
  • Connettività: la tecnologia USB-C supporta simultaneamente sia il segnale video che la ricarica, elemento che la tecnologia di Apple non garantisce, ma entrambe possono supportare la trasmissione audio.

La proposta

La Commissione europea propone di apportare rilevanti modifiche alla Direttiva 2014/53/UE in modo da:

  • consentire l’armonizzazione dell’interfaccia di ricarica per telefoni cellulari e categorie o classi analoghe di apparecchiature radio (tablet, fotocamere digitali, cuffie, console portatili per videogiochi e altoparlanti portatili) ricaricabili con cavo, in modo che possano essere ricaricati utilizzando una presa di ricarica standardizzata;
  • garantire che tali dispositivi, qualora supportino la ricarica rapida, includano almeno lo stesso protocollo di comunicazione per la ricarica;
  • consentire la futura armonizzazione in questo settore in risposta agli sviluppi tecnologici, compresa l’armonizzazione di tutti i tipi di interfaccia di ricarica diversi dalla ricarica con cavo;
  • introdurre requisiti affinché gli utenti finali non siano obbligati ad acquistare un nuovo dispositivo di ricarica ogni volta che acquistano un nuovo telefono cellulare o un’apparecchiatura radio analoga;
  • introdurre requisiti in modo che, al momento dell’acquisto di un telefono cellulare o di un’apparecchiatura radio analoga, gli utenti finali ricevano le informazioni necessarie sulle caratteristiche delle sue prestazioni di ricarica e sul dispositivo di ricarica che può essere utilizzato con essi.

Nello specifico la Commissione europea propone di modificare gli artt. 3, 10, 17, 40, 43, 44 del summenzionato atto normativo, introducendo altresì il nuovo art. 3 bis.

E adesso?

In definitiva, la Commissione europea ritiene che porre in essere le tre azioni in questione  (standardizzare i dispositivi, armonizzare i protocolli di ricarica e promuovere l’unbundling) dovrebbe generare benefici ambientali, riducendo – all’anno – di circa 180 ktCO2e le emissioni di gas a effetto serra, l’uso dei materiali di circa 2.600 tonnellate e la produzione di rifiuti elettronici di 980 tonnellate. In questo scenario, l’unbundling è la misura chiave che, con il complemento delle altre, darebbe il contributo maggiore, comportando una diminuzione dell’estrazione delle risorse, della fabbricazione, del trasporto, dell’uso e dello smaltimento dei caricabatteria. Da non sottovalutare è anche la stima di riduzione di spesa dei consumatori, pari a circa 250 milioni di euro all’anno.

Adesso la proposta dovrà seguire la procedura legislativa ordinaria ex artt. 289 e 294 TFUE, al termine della quale verrà concesso un periodo di 24 mesi agli Stati Membri per recepire, all’interno dei loro ordinamenti, la Direttiva con le modifiche indicate dalla Commissione europea. Quindi il percorso è ben lungi dall’essere completato, ma la strada sembra tracciata e a poco servirà la reticenza di alcuni produttori.


[1] Così sono definiti dalla Direttiva 2014/53/UE all’art. 2: “un prodotto elettrico o elettronico che emette e/o riceve intenzionalmente onde radio a fini di radiocomunicazione e/o radiodeterminazione o un prodotto elettrico o elettronico che deve essere completato con un accessorio, come un’antenna, per poter emettere e/o ricevere intenzionalmente onde radio a fini di radiocomunicazione e/o radiodeterminazione”.

[2] https://ec.europa.eu/docsroom/documents/2417/attachments/1/translations.

[3] https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/c6fadfea-4641-11ea-b81b-01aa75ed71a1.

[4] Nuovo paragrafo 4, art. 3.

[5] Direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia (GU L 285 del 31.10.2009, pag. 10).

[6] Direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 191 del 22.7.2005).

[7] Direttiva 2014/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, concernente l’’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di apparecchiature radio e che abroga la direttiva 1999/5/CE (GU L 153 del 22.5.2014, pag. 62).

[8] Direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità (GU L91 del 7.4.1999).


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