La sfida delle migrazioni in Europa

Popolazione africana che cammina nel deserto
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La conferenza del 29 novembre scorso presso l’Istituto Luigi Sturzo ha rappresentato per l’Osservatorio Germania-Italia-Europa (OGIE) un’occasione di conoscenza nonché un importante momento di confronto a proposito di un tema che certamente influirà sul futuro dell’Unione Europea.

Dopo gli indirizzi di saluto della Dott.ssa Caroline Kanter, Direttrice della Rappresentanza in Italia della Konrad-Adenauer-Stiftung (KAS), e di Nicola Antonetti, Presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, Domenico Manzione, Sottosegretario presso il Ministero degli Interni ha aperto il dibattito del primo panel dal titolo “Il fenomeno migratorio in Italia e in Europa”.

Dopo aver ribadito il carattere strutturale dei flussi migratori in atto in Europa, e ipotizzata una prossima esplosione demografica nel continente africano – a fronte di un progressivo invecchiamento della popolazione europea -, l’on. Manzione ha difeso il Piano nazionale per la gestione dei flussi migratori presentato lo scorso settembre dal Ministro degli Interni Alfano. Il Piano, che prevede il passaggio dal modello degli hotspots (ovvero grandi concentrazioni di persone in poche grandi aree) a quello dell’accoglienza diffusa, ha come obiettivo non solo una maggiore e più stretta collaborazione fra Stato ed Enti locali, ma anche e soprattutto la distribuzione quanto più possibile uniforme della popolazione migrante sul territorio italiano.

Considerando che quello migratorio sarà un fenomeno destinato a protrarsi nel tempo sarebbe auspicabile, secondo l’Onorevole, gestirlo attraverso dei piani e dei progetti nazionali ed europei integrati e non attraverso l’uso spropositato degli stati di emergenza (utili forse soltanto a qualche partito politico in campagna elettorale). È assurdo – ha aggiunto il sottosegretario – continuare a pensare di poter trasferire tutti i migranti salvati nel Canale di Sicilia dalle navi degli Stati membri che fanno capo a Frontex ai porti siciliani di Augusta, Pozzallo e Vittoria, come sta avvenendo adesso. Andrebbe migliorato il processo di identificazione della popolazione migrante, in modo tale da sapere chi arriva e, quindi, poter gestire al meglio i flussi e le persone; solo così sarà possibile riallocarle secondo i loro bisogni e le loro professionalità, favorendo e promuovendo una migliore integrazione all’interno degli Stati d’accoglienza. L’onorevole Manzione ha infine evidenziato come il fallimento degli hotspots nel nostro Paese – solamente 1.600 persone ridistribuite contro le 160.000 previste dalle disposizioni europee – sia dipeso tanto dall’insufficienza della legislazione italiana in materia di identificazione, quanto da uno scarso coordinamento con gli altri Paesi europei.

È poi intervenuto Stefan Luft, docente di Scienze Politiche presso l’Università di Brema, esperto di politiche migratorie. Il professore ha presentato una serie di dati preoccupanti sull’avanzata dei populismi in Europa. È proprio facendo leva sul tema dell’immigrazione che questi partiti – come Alternative für Deutschland (AfD), dichiaratamente anti-europeista e anti-immigrati, riescono a raccogliere il maggior numero degli elettori, ha fatto notare Luft, soprattutto considerando che molti migranti in Germania si sono stabiliti nei quartieri più poveri delle città tedesche. Perché una politica migratoria sia realmente efficace, ha sostenuto l’esperto tedesco, è necessaria la legittimazione democratica da parte della cittadinanza, la quale dalla politica si aspetta piani di lungo periodo, non effimeri tentativi che, invece di gestire e controllare nel migliore dei modi il fenomeno migratorio, lo inseguono. In caso contrario, i flussi migratori rischieranno di polarizzare e destabilizzare tutti i sistemi politici europei, come sta accadendo in Germania con AfD: il partito non esisteva qualche anno fa, ma ora che è riuscito a entrare nei parlamenti di molti Länder, con quote di deputati che spaventano i partiti tradizionali, non si può più ignorare.

Considerando che nel solo 2015 sono arrivati in Europa 1,5 milioni di migranti, l’Europa deve fare di più sul piano internazionale. Il Medio Oriente è un’area la cui ricostruzione deve diventare prioritaria per gli interessi strategici europei; finanziamenti più consistenti dovrebbero essere orientati al miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi poveri del Nord Africa e del Medio Oriente.

Molti migranti preferiscono la Germania come meta di approdo definitivo perché è in grado di offrire standard sociali abbastanza alti, oltre a essere un Paese politicamente stabile, ha fatto notare Luft. che ha poi continuato, quando la cancelliera Merkel ha aperto le porte ai profughi, ha continuato il professore, ci si aspettava che anche gli altri Paesi facessero lo stesso. Questa strategia, purtroppo, è fallita.

Le migrazioni attualmente non sono controllate né controllabili, soprattutto perché l’Ue non riesce ad imporre una politica migratoria comune che sia valida in tutti gli Stati membri. I Paesi europei sono caratterizzati da diversità culturali troppo forti, e cosa ancor più grave, quelli con popolazione più ridotta non sono stati minimamente coinvolti nel processo decisionale sulla gestione del fenomeno migratorio; ecco perché molti di essi, soprattutto quelli dell’Europa dell’est, hanno preferito difendere i propri confini con muri e filo spinato. Lo stato attuale è chiaramente inaccettabile, ma senza un piano europeo di ampio respiro, queste ed altre iniziative individuali dei singoli Stati membri non potranno far altro che moltiplicarsi. È chiaro, inoltre, che non tutti i migranti economici possono essere accolti in Europa. Ecco perché, ha concluso il professore, bisogna calcolare esattamente il bisogno di forza-lavoro, soprattutto nei Paesi economicamente più forti, come ad esempio la Germania.

La dottoressa Cristina Ravaglia della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le politiche migratorie si è, invece, concentrata sull’accordo stipulato il 18 marzo scorso tra Turchia e Unione europea per il controllo dei flussi provenienti dalla rotta balcanica. Facendo eco al sottosegretario Manzione, la dottoressa Ravaglia ha ribadito che solo politiche di lungo periodo, che vedano non solo una stretta cooperazione tra pubblico e privato, ma anche la partecipazione attiva della società civile, saranno in grado di far fronte alle migrazioni che diventeranno sempre più frequenti, data la stasi demografica in Europa e la parallela crescita esponenziale della popolazione africana.

La cortina di ferro tra est e ovest non è mai stata così alta come in questo periodo. Così ha avuto inizio l’intervento di Stefano Lusa, caporedattore del programma informativo di Radio Capodistria e corrispondente dalla Slovenia per l’Osservatorio Balcani e Caucaso. Questa volta, però, ha aggiunto, invece del blocco sovietico, dall’altra parte vi sono moltitudini di uomini e donne che si trovano davanti soldati e filo spinato, risultato delle risposte singole – peraltro, parziali e inefficaci – di alcuni Stati membri. Una situazione da imputare all’incapacità, da parte dell’Unione, di dare risposte valide alla questione migratoria.

La chiusura, in diversi tratti, della rotta balcanica rappresenta una tragedia per gran parte della popolazione migrante siriana, colpita da una guerra che dura oramai da più di cinque anni. È per lo più la fascia colta della popolazione a fuggire, ha evidenziato Lusa. Una fascia medio-alta che avrebbe potuto arricchire i Balcani – e non Stati come la Germania -, se solo la popolazione non avesse deciso di sbarrare loro lo strada per ragioni meramente culturali. Così mentre la Grecia si adoperava per i soccorsi e la Germania per gli inserimenti, il tragitto tra i due Paesi è stato bloccato, anche per volere di Stati come l’Austria e l’Ungheria.

Elena Ambrosetti, docente di Demografia presso l’Università “La Sapienza”, ha poi illustrato l’evoluzione e i principali trend demografici in Europa. 350.000 è il numero delle persone che nel 2016 sono giunte in Europa attraversando il Mar Mediterraneo. Il biennio 2014-2016 è stato quello con il maggior numero di arrivi. Solo grazie all’accordo con la Turchia gli arrivi sono diminuiti sensibilmente. Per la prima volta, ha affermato la professoressa, sta aumentando anche il numero di donne e minori non accompagnati di religione musulmana, provenienti soprattutto dai Paesi dell’Africa sub-sahariana. Nel complesso, ha concluso la Ambrosetti il fenomeno migratorio ha già riequilibrato i trend demografici dei vari Stati europei.

È seguito, poi, l’intervento di Tommaso D’Aprile, direttore del Centro Sportivo Educativo Nazionale, il quale ha evidenziato come lo sport costituisca uno dei fattori più importanti per l’integrazione di molti giovani stranieri. Ecco perché vi è la forte volontà di far ripartire l’accordo tra il CONI ed il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali per i giovani stranieri.

La giornalista e scrittrice Eva Giovannini – moderatrice del panel – ha infine concluso questa prima sessione della conferenza citando una celebre frase di Pino Cacucci: “Le radici sono importanti nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove”.

Il secondo panel dal titolo “Il fenomeno migratorio in Germania” è stato moderato da Andrea De Petris, ricercatore di Diritto costituzionale presso l’Università “Giustino Fortunato” di Benevento.

Il primo a prendere la parola è stato il Dottor Marcus Engler, consulente ed esperto delle migrazioni presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, che ha spiegato il contesto all’interno del quale sono state intraprese le politiche di accoglienza della Germania negli ultimi due anni. La Germania ha avuto un lungo processo di apertura nei riguardi dell’immigrazione, che ha trovato l’accordo dei principali partiti tedeschi – consci del calo demografico in atto nel Paese – solo a partire dal 1998. Il periodo dal 2000 al 2012 ha visto pochi ingressi di stranieri nel Paese, poi gli arrivi sono saliti vertiginosamente, grazie anche ad una legislazione dinamica e in continuo aggiornamento, che ha favorito un’integrazione attiva.

Nel corso della crisi migratoria, la Germania ha spinto fortemente per l’ideazione e la messa in pratica di un programma di accoglienza europeo, raccogliendo però l’opposizione di numerosi Stati membri. Così, mentre larga parte dei Paesi dell’Unione si sottraeva all’onere dell’ospitalità, a partire dal 2013 la Germania ha dato asilo a più di 40.000 rifugiati siriani. Il problema della Germania – ha rilevato il dottor Engler – non è tanto fornire cibo, lavoro o alloggio ai migranti, quanto piuttosto controllare il fenomeno migratorio, in maniera da sapere chi arriva, e ridurre così i timori della popolazione autoctona. Un problema che si fa sempre più impellente se si considera che i flussi migratori non possono essere bloccati: è necessario, quindi, gestirli e controllarli.

La parola è poi passata alla dottoressa Christina C. Krause, coordinatrice per i Rifugiati e le Migrazioni presso la KAS di Berlino, la quale ha ribadito – visto anche l’allargamento drammatico del conflitto siriano – il perdurare dell’emergenza migratoria; una situazione che vede l’Italia sempre in prima linea sul fronte del Mediterraneo.

Ciò che gli Europei non devono fare assolutamente – ha asserito la dottoressa Krause – è rinunciare al progetto europeo a causa della crisi migratoria. I migranti sono risorse sulle quali investire sia per il loro che per il nostro futuro. Nell’ultimo anno si è fatto molto, ma bisogna continuare lungo il percorso e non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà. Mare Nostrum ha raggiunto sicuramente traguardi importanti; è tempo, però, che venga sostituito con un progetto europeo, poiché il peso di una tale crisi migratoria non può ricadere interamente sulle spalle dell’Italia. Anche perché il rischio che le organizzazioni criminali si infiltrino, per innestare traffici illeciti, spesso fonti immense di reddito per mafie e organizzazioni senza scrupoli, è alto.

Frontex deve avere ruoli e poteri sempre maggiori – ha continuato la Krause -; bisogna considerarlo un work in progress da implementare e rafforzare continuamente. Andrebbero anche momentaneamente aumentati gli hotspots: la delusione da parte italiana è comprensibile; tuttavia, bisogna ricordare che si tratta di progetti ancora giovani, che devono entrare ancora a pieno regime di funzionamento. A questo proposito, la dottoressa Krause cita l’esempio della Grecia, dove già all’interno degli hotspots si avviano le procedure per i richiedenti asilo.

Urge – ha rimarcato la Krause – un forte partenariato economico con l’Africa, come si chiede da tempo in Germania. In ogni caso, bisogna assolutamente approcciarsi alla questione migratoria con soluzioni condivise e di lungo periodo, per non rischiare di perdere il consenso delle popolazioni europee al progetto comunitario. In quest’ottica, anche il tanto deprecato accordo con la Turchia di Erdogan si è reso necessario al fine di alleggerire il peso dei flussi sulla Turchia e per evitare, al contempo, ingressi illegali e molto spesso pericolosi per la vita stessa dei migranti – come ci ricordano le tragiche morti nel Mare Egeo.

Benedict Göbel, coordinatore per le Politiche di integrazione presso la KAS di Berlino, ha, invece, rilevato come i flussi migratori siano molto dissimili tra Italia e Germania: non è un caso – ha spiegato – che, per la prima, si sia soliti parlare di crisi migratoria, mentre, per la seconda, di crisi dei rifugiati. Una distinzione dovuta anche alle differenti nazionalità degli immigrati: per lo più nigeriani, sudanesi ed eritrei in Italia; siriani, iracheni ed afghani in Germania. Anche in Germania non mancano problemi – ha poi aggiunto Göbel -: nonostante le nuove leggi sull’accoglienza, sull’integrazione e sulla sicurezza, permangono perplessità e preoccupazioni su questa nuova ondata migratoria; senza dimenticare le difficoltà relative alla ripartizione delle competenze tra Länder tedeschi e Governo centrale.

Ha chiuso questo secondo e ultimo panel la dottoressa Rosalba Ceravolo di SOS – Il Telefono Azzurro Onlus, la quale ha focalizzato il suo intervento sulla questione dei minori migranti non accompagnati. Attualmente e per la prima volta – ha evidenziato la dottoressa Ceravolo -, nei flussi migratori si registra un aumento del numero di minori migranti non accompagnati e di giovani donne. Molto spesso, ha continuato la Ceravolo, questi minori, non appena messo piede sul suolo europeo, sono vittima di sparizioni: essi vanno ad alimentare il traffico delle adozioni illegali, lo sfruttamento lavorativo e, nei casi peggiori, lo sfruttamento sessuale e il traffico di organi.

Ovviamente le cifre censite rappresentano solamente la punta dell’iceberg di numeri sommersi: solo una parte di questi giovanissimi migranti, infatti, riescono a far ricorso ai servizi predisposti per avere una tutela giuridica. Il nuovo approccio proposto da Telefono Azzurro per mezzo della linea telefonica 116000 – il numero unico per la tutela dei minori migranti – è basato sui concetti di empowerment e di resilienza. Questa linea per i minori si propone di dare loro sostegno sociale, legale, psicologico e burocratico-amministrativo. Già due progetti sono stati avviati con successo: il progetto “Daphne” ed il progetto “Poste Insieme”.

Il convegno si conclude con la consegna, da parte della dottoressa Kanter, degli attestati di partecipazione al ciclo di incontri “La sfida delle migrazioni in Europa”.

Tra gli interventi finali segnaliamo quello di un dipendente dell’Ufficio Migrazioni dell’Unione europea che ha giustamente ricordato come le scarse relocation italiane siano dovute all’arrivo nel Belpaese di un maggior numero di migranti cosiddetti “economici”; le relocation, tuttavia, sono state concepite per i rifugiati politici.

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