La disciplina dell’immigrazione nell’UE: tra politica comune e competenze statali

Aula 5 LUMSA durante il terzo workshop OGIE
OGIE

I workshop, organizzati dall’OGIE in collaborazione con la LUMSA e la Rappresentanza in Italia della Konrad-Adenauer-Stiftung e incentrati su tre questioni di particolare rilevanza nell’attuale fase del processo di integrazione -economia, sovranità-leadership e immigrazione -, si propongono di fornire ai giovani membri dell’Osservatorio gli strumenti e le informazioni necessarie per l’elaborazione di una proposta di rilancio dell’Unione Europea da presentare il 27 aprile prossimo nel corso di una conferenza che si svolgerà presso il Dipartimento di Giurisprudenza di Palermo dell’Università LUMSA.

Il 16 marzo si è svolto il terzo seminario tenuto dal Prof. Evola, docente di Diritto dell’Unione Europea e European Union Law, presso la sede di Palermo della LUMSA.

Introducendo la sua relazione, il Prof. Evola ha sottolineato l’importanza del confrontarsi su un tema, quale l’immigrazione, in quanto “utile laboratorio per la comprensione di fenomeni di più ampio respiro e di processi più complessi che attraversano la nostra società.

Il tema dell’immigrazione, infatti, permette di individuare alcune ragioni delle trasformazioni sia dell’assetto economico, sia dell’impianto giuridico, che oggi regolamenta, a livelli diversi, materie di particolare importanza, dall’organizzazione dei processi economici alla tutela dei diritti fondamentali. È proprio in quest’ottica che il Prof. Evola, traendo spunto dal titolo del workshop, ha preliminarmente messo in rilievo, quale assunto di partenza, la tradizionale dialettica, nel processo di integrazione dell’Unione Europea, tra la volontà di approfondire l’integrazione, dunque di rafforzare gli strumenti dell’Unione Europea, e l’opposta volontà degli Stati di continuare a conservare il governo in alcuni settori attraverso l’esercizio delle competenze nelle quali si articola la sovranità statale. Questa dialettica, che ha storicamente contrassegnato il processo di integrazione, caratterizza anche la disciplina dell’immigrazione, che riflette la tensione tra il bisogno di utilizzare gli strumenti offerti dal diritto dell’Unione Europea per fronteggiare un fenomeno che trascende i confini nazionali e, invece, la volontà degli Stati di continuare ad esercitare le loro competenze nella gestione del fenomeno migratorio.

Proseguendo nella sua esposizione, il Prof. Evola ha ribadito come l’immigrazione, in rapporto alla sovranità statale, intersechi interessi particolarmente sensibili per gli Stati: da qui il tentativo di resistere a qualunque processo di devoluzione delle competenze a favore dell’Unione Europea. Sullo sfondo descritto in premessa si colloca l’emersione del concetto di “politica comune”, che comincia ad affermarsi poco dopo l’inizio del nuovo millennio: è la Commissione europea ad introdurre, nel linguaggio dei documenti dedicati all’immigrazione, l’idea di una “politica comune” degli Stati. La cooperazione tra gli Stati in questa materia ha avuto origini esterne al quadro comunitario, realizzandosi attraverso gli strumenti tipici delle relazioni internazionali e, solo successivamente, il Trattato di Maastricht ne ha previsto l’inserimento all’interno della struttura in pilastri dell’UE, ma con molte cautele frutto di politiche basate sulla cosiddetta cooperazione intergovernativa.

L’attuale quadro normativo, invece, contempla espressamente tale idea di “politica comune” con riferimento sia alla materia della tutela dei rifugiati, sia all’immigrazione, entrambe componenti fondamentali nella regolamentazione dei flussi migratori. Tale impostazione, come ha suggerito il Prof. Evola, indicherebbe la presenza di una volontà degli Stati Membri di dare vita a una politica che sia, non solo finalizzata a conseguire obiettivi comuni, ma ispirata a principi condivisi: una politica che deve trovare attuazione in regole volte ad armonizzare il diritto nazionale.  Una siffatta armonizzazione non è ricavabile dal testo del Trattato, ma, in via implicita, dalle caratteristiche che una “politica comune” deve avere. Una conferma si ricava, in senso opposto, dal fatto che il Trattato esclude esplicitamente ogni possibilità di armonizzazione in materia di integrazione: è da sottolineare la rilevanza culturale-ideologica di questa norma, in considerazione del fatto che gli Stati hanno subito indicato l’indisponibilità a qualunque forma di armonizzazione delle prassi nazionali.

Da molto tempo ormai il fenomeno dell’immigrazione è considerato come parte del più ampio problema della criminalità organizzata: “L’identificazione immigrato-terrorista è purtroppo diventata cultura di una parte della società europea nel suo complesso ed esiste il rischio che il fenomeno migratorio diventi un problema di ordine pubblico”. Se così fosse, la norma del Trattato, che consente agli Stati di conservare le loro prerogative sovrane rispetto all’ordine pubblico e in ordine alla pubblica sicurezza, offrirebbe un ulteriore spazio ai governi nazionali per regolamentare la materia in autonomia rispetto alle indicazioni che provengono dall’Unione Europea.

Risulta quindi chiaro quanto sia delicato e nevralgico esaminare il rapporto dialettico tra l’aspirazione ad una politica comune e la resistenza degli Stati, attraverso l’analisi delle tecniche che questi hanno utilizzato, nell’ambito del Consiglio, adottando regole in materia di immigrazione con l’intento di limitarne la capacità di armonizzazione dei quadri normativi nazionali. Attraverso un’indagine sistematica e analitica, il Prof. Evola, nell’oggetto centrale della sua relazione, ha approfondito le principali delle suddette tecniche adoperate dai rappresentanti nazionali, in particolare: l’utilizzo di norme dal carattere ambiguo o, a volte, addirittura contraddittorio; la pratica di incidere sulla portata e sulla capacità delle norme di procedere ad armonizzazione, offrendo agli Stati la possibilità di mantenere regole già esistenti o di introdurne altre, volte a disciplinare materie di competenza dell’Unione; la concessione fatta agli Stati di mantenere o di introdurre nuove regole quando queste offrono standard di tutela più elevati rispetto a quelli previsti dalle norme europee; la previsione di regole che finiscano per privare di carattere giuridico le stesse norme.

Come pedissequamente mostrato dalle norme portate a esempio dal Prof. Evola nell’illustrazione di ciascuna di queste tecniche, è attraverso le regole conseguenti all’utilizzo di tali tecniche, che gli Stati si ritagliano un ulteriore spazio per esercitare delle competenze che, in realtà, sembrerebbero assoggettate alla normativa comunitaria. Si tratta di regole che riflettono una scelta politica e una soluzione di compromesso: alcuni Stati non sono disposti a mettere in discussione determinati assetti normativi e gli equilibri politici ed economici che quegli assetti hanno realizzato e, proprio per questo, impongono che la disciplina europea contempli la possibilità di mantenere l’impianto normativo già dedicato dallo Stato a quella materia. È chiaro, dunque, che l’immigrazione è lasciata nelle mani degli Stati. Non è la normativa europea a disciplinare la materia, ma saranno gli Stati a farlo, operando delle scelte su aspetti cruciali quali: la definizione del perimetro di applicazione delle norme, l’individuazione dei destinatari o delle categorie di soggetti che possono esercitare un diritto, la possibilità di attuare deroghe al principio della parità di trattamento o di introdurre eccezioni, la valutazione di adeguatezza e, più in generale, ogni sorta di valutazione discrezionale economica o delle condizioni del mercato del lavoro. Tali pratiche comportano uno squilibrio complessivo delle prassi degli Stati nella gestione dei processi migratori, generando scompensi anche in materie sensibili che coinvolgono i diritti fondamentali e la dignità dell’uomo stesso, facendone dipendere l’effettivo godimento da scelte politiche nazionali e da valutazioni che attengono all’equilibrio economico complessivo di un singolo Paese o alla regolamentazione del suo mercato del lavoro: “Il diritto può degradare a qualcosa di diverso, è una concessione affidata alla valutazione discrezionale degli Stati.”

Diversi sono stati gli esempi normativi e le figure giuridiche illustrati dal Prof. Evola, nel tentativo di mostrare gli effettivi risvolti derivanti dall’attuazione di tali tecniche, soprattutto in materia di ricongiungimento familiare (Direttiva 2003 /86), Carta Blu UE – trattamento giuridico dei lavoratori altamente qualificati (Direttiva 2009/50) e diritto di circolazione dei soggiornanti di lungo periodo (Direttiva 2003/109).

Il ricongiungimento familiare è un istituto particolarmente importante perché disciplina la possibilità per i familiari di un immigrato, che risiede regolarmente nel territorio di uno Stato Membro, di raggiungerlo e di vivere con lui: è una delle materie più sensibili dell’immigrazione perché ha il potere di incidere sugli assetti della società, ma anche un istituto poco amato dal legislatore perché determina un cortocircuito nelle politiche migratorie. Un disegno di società che si basa sulla regolamentazione dei permessi di soggiorno viene polverizzato da questo canale d’ingresso, che oggi è uno dei più usati: non è un caso che l’Unione Europea abbia elaborato con grande difficoltà la Direttiva sul ricongiungimento familiare, lasciando agli Stati la possibilità di gestire aspetti fondamentali dell’istituto sulla base di strategie politiche, economiche e sociali.

Tutto questo, però, si traduce in una serie di limitazioni che rendono eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. Il problema di fondo è che queste norme non sono in linea con la tutela prevista dalla normativa internazionale in materia di tutela dell’unità familiare e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. “Siamo di fronte ad un rovesciamento dei valori: dovremmo costruire società che ospitino e che integrino nel riconoscimento delle differenze e non che usino l’integrazione per chiudere le nostre porte”.

La Carta Blu UE, che disciplina il trattamento giuridico dei lavoratori altamente qualificati, nasce dalla consapevolezza che oggi la crescita economica è legata all’innovazione e all’applicazione del sapere ai processi produttivi, ma anche dalla considerazione che gli Stati dell’Unione Europea non sono capaci di competere, sul piano internazionale, nella lotta per l’acquisizione dei talenti. La Carta Blu UE doveva garantire diritti ai lavoratori altamente qualificati, ponendoli in una condizione diversa dal lavoratore migrante comune e assimilandoli, il più possibile, ai cittadini dell’UE. L’impostazione della Direttiva, tuttavia, non ha reso tale strumento capace di assicurare all’Unione la possibilità di essere, all’interno del mercato globale, una valida alternativa ad altri mercati.

Al diritto di circolazione dei soggiornanti di lungo periodo, invece, è dedicata una normativa che si applica indistintamente ai rifugiati e a chi ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi diversi dall’accesso alla protezione internazionale. La possibilità di circolare all’interno del territorio dell’Unione è riconosciuta solo a chi ha acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo, dopo aver vissuto all’interno di uno Stato Membro per almeno 5 anni. La facoltà di esercitare tale diritto è subordinata all’obbligo, in capo al soggetto stesso, di provare la disponibilità di risorse stabili, regolari e sufficienti per sostenere se stesso e i suoi familiari prima di entrare nel territorio di un altro Stato Membro, di possedere un’assicurazione sanitaria e di soddisfare le condizioni di integrazione eventualmente richieste. La necessità di soddisfare tali requisiti, soprattutto con riferimento al primo elemento menzionato, diventa un limite oggettivo all’ingresso in uno Stato, in quanto è la normativa nazionale a stabilire nel concreto quali siano le risorse considerate sufficienti: la Direttiva, quindi, riconosce il diritto di circolazione, ma introduce contestualmente una serie di limiti che rendono difficile l’esercizio effettivo dello stesso.

In conclusione, il Prof. Evola, in linea con i precedenti seminari OGIE, ha ribadito l’idea secondo cui l’Unione va rafforzata: “Forse un’azione più efficace dell’Unione Europea, capace di ottenere un obiettivo di armonizzazione, potrebbe meglio affrontare le sfide dell’immigrazione, sfide che devono passare per l’abbandono della logica securitaria e per l’uso dei diritti umani come stella polare”.

A cura di

Adriana Brusca
Vincenzo Mignano
Simona Rizza

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