L’Unione bancaria europea: origini ed evoluzione

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L’Unione bancaria europea: origini ed evoluzione

L’Unione bancaria rappresenta un traguardo fondamentale nell’ambito del processo di integrazione che si realizza nell’Unione Europea (UE). La sua istituzione – avvenuta in risposta alla crisi economica del biennio 2007-2008 e al susseguente shock finanziario dei debiti sovrani del 2011 – è stata dettata dall’esigenza di fornire maggiore affidabilità e sicurezza al settore bancario dell’area euro ed evitare che gli eventuali fallimenti o risoluzioni delle banche economicamente più colpite potessero produrre effetti eccessivamente negativi nei confronti degli investimenti dei contribuenti e dell’economia reale. Il fenomeno delle risoluzioni bancarie rappresenta un punto cruciale per lo sviluppo e la stabilità del mercato unico europeo. Esso consiste in un processo attraverso il quale si provvede alla ristrutturazione economica dell’ente creditizio in dissesto, nel duplice tentativo di impedire che vi siano interruzioni nella prestazione dei servizi dallo stesso offerti e di ripristinare la relativa sostenibilità finanziaria. La relativa normativa di riferimento è dettata dalla Direttiva 2014/59/EU del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD). Tale atto legislativo rientra in quel novero di testi normativi che costituiscono il Codice Unico Europeo (Single Rulebook) e che vengono applicati a tutti gli enti e i prodotti finanziari nell’UE. Tra i testi normativi meritano di essere ricordati il Regolamento (UE) n. 575/2013 sui requisiti patrimoniali e la Direttiva 2014/49/UE sul sistema di garanzia dei depositi (SGD).

Intesa, dunque, quale sistema di vigilanza e di risoluzione nel settore bancario a livello dell’UE, l’Unione bancaria ricopre un importante ruolo nel rafforzamento dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) e del mercato interno, garantendo l’armonizzazione – ai sensi dell’art. 114 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) – delle norme in materia finanziaria e promuovendone la coerente applicazione negli Stati membri – sia interni che esterni alla zona euro – che hanno scelto di aderirvi. Le criticità emerse dalle crisi economiche che hanno colpito l’Europa e le diverse risposte che sono state date a livello locale hanno evidenziato le fragilità di un sistema basato sull’interdipendenza tra banche e Governi nazionali e sulla presenza di una moneta unica in assenza di un quadro bancario completo ed efficace, con la conseguente frammentazione del mercato interno dei servizi finanziari e l’incremento delle differenze economiche tra i Paesi dell’UE. Per tali ragioni, i Capi di Stato e di Governo hanno ritenuto necessario dare nuovo impulso all’integrazione economica e, nel dicembre del 2012, muovendo dalle valutazioni degli Stati Membri, i Presidenti di alcune tra le principali istituzioni europee (Consiglio europeo, Commissione europea e Banca centrale europea) hanno delineato una dettagliata tabella di marcia, con tappe definite nel tempo, volta al completamento della terza fase dell’UEM, muovendo dai suoi tre settori di applicazione – quali la politica monetaria avente per fine la stabilità dei prezzi, l’ordinamento delle politiche economiche negli Stati membri e la garanzia del buon funzionamento del mercato interno – e ponendosi in linea con gli obiettivi e le funzioni del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) di cui all’art. 127 del TFUE.

Gli obiettivi che sono stati fissati attraverso tale strategia, come si può dedurre da quanto detto in precedenza, sono rappresentati dalla creazione di un settore bancario europeo più trasparente, sicuro ed unificato, riducendo la frammentazione del mercato tramite l’armonizzazione della legislazione in materia finanziaria e preservando il denaro dei contribuenti da eventuali utilizzi poco virtuosi a tutela della banche dissestate. Tali esigenze sono state dettate dalla volontà di porre rimedio ai problemi – i cui effetti superano i confini nazionali, determinando turbolenze finanziarie – causati dalla stretta connessione che lega le finanze del settore pubblico con le politiche bancarie. Per tale ragione, la necessità di garantire la solidità delle banche nell’affrontare le crisi future e di rafforzare la stabilità finanziaria dell’area euro rappresenta un passaggio imprescindibile nell’ambito del processo di integrazione europea.

Mossi da questi intenti, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno previsto per l’Unione bancaria, attraverso una serie di atti legislativi, una struttura che poggia su tre pilastri, l’ultimo dei quali ancora in fase di discussione: il Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU), il Meccanismo di Risoluzione Unico (MRU) e il Sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS). Il MVU – istituito con il Regolamento (UE) N. 1024/2013 – è un sistema che vigila, attraverso la conduzione di controlli periodici, sulla conformità dei principali enti creditizi degli Stati membri che vi aderiscono ai requisiti prudenziali richiesti dalle norme che regolano, in tale ambito, l’operato della Banca Centrale Europea (BCE) e delle autorità nazionali di vigilanza. Tale meccanismo è stato introdotto con l’ulteriore obiettivo di garantire la solidità del settore bancario europeo, tutelando la stabilità finanziaria globale mediante interventi volti a prevenire o ridurre gli eventuali dissesti economici delle banche causati dal proliferare, nel mercato unico, degli effetti negativi delle crisi dell’ultimo decennio.

Il MRU, invece, è un sistema – strettamente connesso al MVU ed istituito con il Regolamento (UE) n. 806/2014 – che mira a garantire una risoluzione ordinata ed efficace degli enti creditizi in dissesto ed economicamente non sostenibili, con costi minimi per i contribuenti e per l’economia reale. Risultato, anch’esso, di un accordo politico tra il Parlamento ed il Consiglio, la relativa gestione è affidata al Comitato di risoluzione unico – in cooperazione con le corrispondenti autorità nazionali–,il quale ha potere decisionale sui programmi risolutivi ed è direttamente responsabile delle fasi di pianificazione e risoluzione delle grandi banche, anche transfrontaliere, dell’Unione bancaria. In ultimo, l’EDIS trova il suo fondamento in una proposta di regolamento (COM(2015)586) – presentata dalla Commissione europea il 24 novembre del 2015 – la cui adozione avrebbe dovuto comportare una modifica del precedente Regolamento (UE) n. 806/2014 in materia di norme e procedure uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico. Questo tentativo di costituire, all’interno dell’Unione bancaria, un sistema europeo di assicurazione dei depositi, con annesse garanzie e misure complementari per ridurre i rischi bancari, ha subito un’evoluzione lenta e molto dibattuta nelle istituzioni comunitarie, a causa delle divergenze e delle sostanziali differenze politico-economiche tra gli Stati membri dell’UE. Proprio per tali ragioni, infatti, si è creata una situazione di stallo nei negoziati che ha condotto la Commissione europea, nell’ottobre del 2017, a presentare una Comunicazione (COM(2017)592) con cui è stata suggerita un’introduzione più graduale dell’EDIS rispetto alla proposta del 2015, la quale prevedeva tre fasi successive di attuazione a partire dal luglio 2017: un sistema di riassicurazione per gli SGD nazionali partecipanti, per un primo periodo di tre anni; un sistema di coassicurazione per gli SGD nazionali partecipanti, per un secondo periodo di quattro anni; un sistema di assicurazione completa per gli SGD nazionali.

Negli ultimi anni, il negoziato sull’EDIS – punto nevralgico per il completamento dell’Unione bancaria – ha subito, quindi, un forte rallentamento dovuto alla richiesta, da parte di alcuni Stati Membri (tra cui Germania, Finlandia e Austria), di approvare un contemporaneo pacchetto di misure di riduzione del rischio (come l’armonizzazione di importanti normative nazionali, quali le leggi fallimentari). Di recente, però, si è determinata un’apertura significativa volta a superare le divergenze che hanno condizionato il dibattito in materia. Nello specifico, il Vice Cancelliere e Ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, ha espresso la propria volontà di riaprire la discussione su uno schema comune di garanzia e di ponderazione dei titoli di Stato in possesso delle banche, con la previsione di un Fondo europeo che assicuri depositi bancari fino a 100 mila euro in tutta Europa. Sebbene si tratti di un notevole passo avanti rispetto al passato, qualche perplessità viene mossa dalle controparti politiche – come il Ministro dell’Economia e delle Finanze italiano, Roberto Gualtieri – con riferimento alle condizioni cui viene subordinato l’accesso a tale strumento, come la soglia del 5% di crediti inesigibili a fronte di quelli totali concessi (l’Italia raggiunge il 9,5%). La strada alternativa, prospettata dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, prevede la creazione di un titolo di debito comunitario – l’eurobond – volto a ridurre il rischio legato a quella “spirale perversa” per cui ad ogni indebolimento del debito nazionale corrisponderebbe una lesione delle banche che, a sua volta, avrebbe un impatto negativo sul Tesoro e, di conseguenza, su tutta l’economia. Si dovrebbe protendere, in tale ottica, verso l’instaurazione di un “risk-free asset” per gli enti creditizi, diversificandone il rischio e attutendo le eventuali perdite di investimenti, in un contesto che tenga anche in debito conto le novità che – probabilmente – andranno a modificare il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

L’analisi effettuata suggerisce alcune considerazioni conclusive sulle resistenze che il progetto dell’Unione bancaria ha riscontrato e sui vantaggi che, invece, un suo completamento potrebbe comportare. I due shock finanziari che hanno caratterizzato il panorama comunitario dell’ultimo decennio hanno messo in risalto quei limiti insiti nelle politiche economiche e monetarie adottate all’interno dell’UE. La logica ragionieristica creditore-debitore ha finito per incrementare quelle differenze tra gli Stati Membri che erano già presenti prima che il fenomeno della Grande Recessione producesse i propri effetti in Europa. L’applicazione di tale approccio, con un sistema di prestiti ai Paesi colpiti basato su criteri di stretta condizionalità economica e sull’adozione di rigide politiche di austerità, ha allontanato il progetto europeo dall’obiettivo del rafforzamento e della convergenza delle economie previsto dal Preambolo al Trattato sull’Unione Europea (TUE). Per tali ragioni, un mercato unico basato sulla circolazione di una singola moneta tra più Stati – quasi la totalità dei Paesi dell’UE – e che presenta divergenze economico-strutturali, richiede il necessario supporto di un sistema bancario unitario, in grado di garantire la riduzione e la condivisione dei rischi finanziari – con l’esercizio di politiche di bilancio virtuose – e di assicurare il rafforzamento dell’UEM e, più in generale, del processo di integrazione europea.

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